9. Nullpunkt - punto zero

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«Sveglia, dormigliona!» Friederick mi sta chiamando, tuttavia, il giaciglio che ho riscaldato tutta la notte mi pare decisamente più invitante. Intestardita, mi rigiro verso il muro, dandogli le spalle.

Sono decisamente troppo assonnata per potermi considerare "lucida" e, inoltre, è anche domenica. A casa solevo alzarmi non prima di mezzogiorno, a pomeriggio inoltrato, sprezzante delle occhiate truci di mia madre quando riemergevo dalla mia camera alle sei di pomeriggio.

Un mugugno di disappunto è la sola cosa che fuoriesce dalle mie labbra incartapecorite, attaccate l'un l'altra come colla. Povero Fried... lo sto paragonando a mia madre che, nel periodo scolastico, le provava tutte per farmi alzare da letto. Una volta ricordo che mi aveva lanciato un bicchiere d'acqua addosso, pur avendomi risparmiato l'impatto con il vetro.

Non intendo trascorrere tutto il giorno a poltrire ma, ogni tanto, un po' di riposo è gradito.

«Avrò bussato dieci volte... mi stavo preoccupando.» Ammette, senza ricevere alcun cenno di vita da parte mia. «Peccato. Volevo solo informarti dello strüdel servito in cucina.»

«Perché non me lo hai detto subito! Così si raffredda!» Cibo? Qualcuno ha parlato di cibo? Balzo fuori dalle coperte, non curandomi nemmeno dei capelli arruffati a nido di rondine.

Lo sento ridere, forse più per la mia reazione che per il mio aspetto a dir poco disastroso.

Mi do un'occhiata allo specchio appeso alla parete e, nel complesso, mi trovo davvero inguardabile.

«Ehi, non mi prendere in giro!» Esclamo, fingendomi offesa. «Tu hai avuto tutto il tempo per prepararti.»

«Può darsi, ma questo aspetto scarmigliato ti da carattere.» Risponde lui, mandando in tilt i miei capillari.

«Ah dici...»

Il biondino si alza dal bordo del letto, forse proprio per spezzare questo momento d'imbarazzo.

Mi alzo dal letto anche io, pettinandomi prima di scendere di sotto.

Fried non porta più la divisa, bensì una camicia bianca e dei normali pantaloni scuri, arrotolati fino alle ginocchia.

"Molto tedesco" penso, ripensando alla tenuta che sfoggiano di solito i turisti teutonici sulle nostre spiagge: cappello da pescatore, bermuda, sandali con annessi calzettoni bianchi e una bella scottatura rossa sulle spalle chiarissime.

No dai, sono certa che Fried si risparmierebbe almeno i calzini.

Resta il fatto che vederlo in abiti civili mi faccia dimenticare di essere nel ventesimo secolo, visto che potrebbe benissimo confondersi con il tipo di ragazzo con cui ho a che fare di solito.

È così strano...

«Aspetta qui. Vedo se mio padre è nei paraggi.» Scende gli ultimi scalini, sporgendosi oltre la parete prima a destra e poi a sinistra. Flette persino le ginocchia.

«Campo libero? O potremmo sempre acquattarci per terra e strisciare fino alla cucina...» Suggerisco, divertita dalla situazione.

«Sarebbe un'idea.» Ribatte, dimentico di essere in procinto di partire. Io non ho dimenticato però e sono sicura che anche lui, dentro di sé, covi le mie stesse preoccupazioni.

Arriviamo in cucina, trovandoci di fronte ad una tavola imbandita.

L'oggetto, o meglio, la pietanza da me desiderata è proprio lì, fumante, al centro del tavolo. C'è un delizioso profumo di cannella nell'aria.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora