32. Canone inverso

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«Non passerai dei guai per avermi fatta entrare?»

Mi pare legittimo chiedere. Lui non si è dimostrato il cavaliere che credevo fosse, ma ha provato ad esserlo e lo ha fatto per me.

Questo varrà pur qualcosa, andiamo! Non posso trattarlo con sufficienza ora che si è esposto...

Reiner, che si era scostato dalla porta per lasciar fluire il "traffico", mi ha raddrizzato il mento, così da impedirmi di rivolger loro un'ultima occhiata. Mi ferma, me lo impedisce con la forza di una sola mano; sostiene la mandibola con le dita, liberandomi dopo essersi accertato che non ci fosse più nessuno.

«Ormai tramite Schneider hai già appreso tutto ciò che c'era da apprendere e, oltretutto, sei stata a Birkenau ben due volte. Gli ufficiali maggiori e minori ti hanno conosciuta in casa sua - se non addirittura al campo - perciò, se non sei un'impiegata, poco ci manca...» mi dice, correggendosi in seconda battuta: «ma ciò non significa che tu sia come noi. Non avresti potuto fare di meglio per i mezzi che avevi a disposizione, che avevamo a disposizione.»

«Mi sento come se avessi premuto il grilletto. Le ho condannate, le ho uccise» esterno una paura che è seconda solo all'ipotesi di una morte prematura: quella di venir associata a loro, nelle idee e nei metodi; un'angoscia doverosa quella che ne deriva che, tuttavia, viene offuscata dal terrore paralizzante della mia potenziale dipartita.

Penso e ripenso all'amore di mia madre e di mio padre, alla consapevolezza che non avrebbero mai indietro un corpo da seppellire, al fatto che la loro speranza non conoscerebbe fine, se si convincessero che sia stata rapita.

In quella stanza mi sarei voluta opporre; ho avuto l'impulso di gridare che cosa sarebbe accaduto e unirmi a coloro che avrebbero combattuto fino alla fine, come so che Anabel avrebbe fatto. Avrei preso in ostaggio un tedesco, io che ero così vicina, insospettabile...

Ma l'istinto di sopravvivenza, alla fine, ha prevalso. Quante probabilità di riuscita ci sarebbero state?

Ho agito nel modo che ho ritenuto più responsabile, però neanche i complimenti del comandante sono riusciti a mondarmi del mio peccato.

Non si vive solo di ossigeno, acqua, pane e ricordi; questo Reiner non l'ha capito e quando sono salita in auto, non ha saputo più che cosa dirmi.

«Come ho detto, ti sono grata per l'aiuto che mi hai dato, ma non so come smettere di rimuginarci su. Tu come fai a conviverci?» Mi rivolgo a lui con una schiettezza disarmante, a cui risponde con altrettanta schiettezza.

«Ti ci abitui, ma il mio stesso discorso non può valere per te. Tieni a mente ciò che ti ho detto, tienilo stretto, perché finché resterai qui dovrai sopportare.»

O morire. L'alternativa che non ha citato, che non voleva nemmeno farmi prendere in considerazione.

«Perché tieni tanto a me? Hai saldato il tuo debito ormai. Ti piaccio, ma non sei innamorato di me; hai avuto il tuo quadro, hai neutralizzato Erika, mi hai permesso di trovare Maxim. Che altro c'è? Cosa mi rende più importante del tuo giuramento?» Mi premeva da un po' saperlo; lui mi aveva fornito un paio di giustificazioni, ma non le avevo ritenute appaganti. Ho bisogno di una ragione di più; una per mettere a tacere un ragionevole dubbio. E spero che adesso quel momento sia giunto.

Reiner, dal canto suo, mi fissa interdetto, come se gli avessi dato il consenso per accoltellarmi.

«Tu non sei solo la mia rappresentazione di te. Tu sei viva, ti ho incontrata e per un incidente fortuito ti sei trattenuta sul mio cammino; ti posso assicurare che non è questa la vita che meriti. Mi piacerebbe offrirti un'altra possibilità...» benché sia fisicamente impossibile, ho l'impressione che anche i miei occhi stiano tremando. Non sarebbe dovuto essere un incentivo a proseguire, ma lui mi ha praticamente ignorata. «Vorrei che tu mi seguissi a Buchenwald, così da non dover più sottostare a nessuno. Ti garantisco che non dovrai più respirare quel fumo, né metter piede al campo, se deciderai di accettare.»

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora