25. star-crossed

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Il mio entusiasmo accusa una rapida ridimensionata alla vista di quell'espressione sofferente. Muovo qualche passo verso il giovane uomo, ma non riesco ad andare avanti. Non ne ho la forza.

Poco più in là, con la schiena appoggiata al muro e gli occhi tristi rivolti al compagno, vedo Zeno in uno stato confusionario, spossato come se non dormisse da molti giorni. Lui alza appena il capo e proprio lì, dove i ciuffi spettinati vanno fondendosi con due grandi Soli morenti, riesco a percepire un vuoto struggente, effimeramente mitigato dall'alcol e dal leggero rossore che esso provoca sul suo viso pallido, bianco d'angoscia.

Sento i versi di quella poesia riecheggiare nell'aria, narranti un destino già stabilito.

«Friederick, sei tu?» Il ragazzo smette di canticchiare per guardarmi dritto negli occhi, rilucenti in confronto ai suoi, che, viceversa, paiono modellati in pasta vitrea; biglie scheggiate, in cui il solo spiraglio di luce è rappresentato dal mio arrivo.

Tace per un lungo periodo - secondi, minuti interi? -, dopodiché mi si avvicina. Segue un abbraccio contenuto, disperato.

Il "ragazzino" mi fa una carezza sui capelli e mi stringe forte a sé, assorbendo il profumo dolce di miele che gli ricordava casa. Sento le sue mani tremare, aggrapparsi affannosamente alla mia schiena; forte, troppo forte.

Non ho cuore di dirgli di allentare la presa, perché so che dietro a questi suoi gesti quasi comuni vi è un dolore grandissimo.

«Sì, sono io.» Ascolto il suono alterato, graffiante della sua voce e realizzo che qualcosa è cambiato, che qualcosa si è spezzato.

Mi lascia andare dolcemente, trattenendomi ancora per le mani, donandomi un sorriso accorato, ancora in grado di irradiare il suo volto stanco di una tiepida luce vitale. Friederick si appella a tutta la sua forza di volontà per nascondere il suo male e passare oltre, così ch'io non veda il suo corpo appassito né il suo cuore martoriato. Ci mette impegno, ma non sortisce alcun effetto su di me. Ma quale sadico gioco è mai questo? Lui non ha colpa: è un uomo buono e gentile, purissimo come solo un angelo del cielo potrebbe essere. Una similitudine a tratti iperbolica, ma dettata dall'amore, pur casto e fraterno che, fin dal primo istante, ha unito i due tasselli di un reticolato perfetto.

Perché Friederick non sarà forte come Rüdiger o come Reiner, il nuovo arrivato, tuttavia ha sempre preservato il suo onore e la sua dignità, a differenza di molti altri che, per qualche spicciolo in più, farebbero qualunque cosa gli venisse ordinata di fare.

Per me lui è un esempio di vita, un idolo intoccabile, e non trovo giusto il fatto che proprio lui debba soffrire pur non avendo commesso alcun peccato.

Fingo di non sentire l'odore alcolico emanato dalla sua pelle; cerco di ignorare i suoi tic nervosi, dovuti probabilmente a un abuso di anfetamine.

Ignoro i segnali inequivocabili del suo disfacimento psicofisico, risparmiandogli una predica che, in ogni caso, non avrei dovuto fare a lui, ma a coloro che lo hanno portato a tutto questo.

Saperlo imbottito di chissà quali schifezze mi fa soffrire tantissimo, esattamente come fa soffrire lui.

Vederlo fuggir via proprio da me, per la vergogna d'essersi fatto beccare in questo stato, mi è inconcepibile. Adesso sono io a prenderlo per mano e abbracciarlo, a baciargli la fronte accaldata, dicendogli che tutto andrà bene. Poi, vedo sbucar fuori la zazzera rossiccia del colonnello, il quale mi strappa via da Fried per gettarmi in mezzo a quella gentaglia che definisce "conoscenti".

Perdo di vista Friederick, così come Zohan, cascando nuovamente nella trappola del rosso.

«Non hai indossato le calze» mi rimbecca, guardandomi le gambe nude. Intravedo le dita fissate alla mia spalla che s'infossano nella pelle, come a volermi punire per avergli disobbedito.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora