55. jenseits von Tod - al di là della morte

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Le mie dita si intrufolano esitanti nella tasca dei pantaloni, dove avevo riposto la croce di ferro di Reiner. L'interno della bocca mi si spacca in più punti sotto i denti, i bordi metallici spinti a forza nel palmo mi feriscono, ma è una punizione che mi infliggo per non essermi mai fatta sopraffare dalle emozioni.

La precisione di Rüdiger viene meno; deve tenere la pistola con entrambe le mani e ancora non è soddisfatto. Ricalibra il tiro. Non vuole sporcarmi con un doppio colpo, non vuole neppure farmi soffrire più del dovuto. Si è asciugato gli occhi per avere una visuale più nitida e, nel frattempo, mi sono avvicinata io, a testa alta questa volta, e ho premuto il petto contro la bocca della pistola. Sono stata io a guidarlo e lui, lui che mi aveva voluta indomabile, mi ha vista come una gazzella che tende docilmente il collo al predatore di turno. La verità, è che sto cercando di non farmi annichilire dalla paura, perché sono una ragazza, e farmela sotto renderebbe umilianti i miei ultimi momenti. Non creda che glielo stia perdonando; le lacrime per me versate non lo rendono meno penoso. «Fallo» lo sprono, rabbrividendo per la freddezza della canna. «Sappi soltanto che se la mia vita ti è d'intralcio, la mia morte ti renderà solo.»

Quanto Rüdiger fosse disperato, l'ho capito dopo, quando il colpo era ormai partito. I suoi occhi si sono spalancati per l'orrore, perché ha avuto la freddezza di mettere da parte il suo più grande desiderio per mantenere la parola data. Mi voleva con sé, voleva litigare ancora un po' e venire ad accoccolarsi sul mio grembo come a dirmi che gli dispiaceva farmi male. Mi voleva nella sua vita tanto da odiarmi e rifuggirmi, portando l'atto della rinuncia alle estreme conseguenze. Sarei dovuta morire e, forse, avrei scoperto che sarebbe stato quello il modo di tornare a casa, ma le probabilità si approssimavano allo zero e, oltre al mio cadavere, avevo iniziato a figurarmi il vuoto che avrei lasciato; il rifiuto di mio padre, la solitudine di mia madre. Li avevo immaginati che piangevano spesso e non ridevano più e mi era parsa la visione più triste del mondo. Il fatto che potessi essere io la fautrice di tanta tristezza mi era inaccettabile. Sarei dovuta morire e, invece, io volevo vivere... più di tutto, volevo continuare a sperare che ci fosse ancora una possibilità di riabbracciare la mia famiglia; questo, mi ha dato la forza per alterare l'inclinazione della Luger prima che fosse troppo tardi.

Invece che il mio petto, il proiettile ha trovato spazio oltre la spalla e, per quanto abbia allontanato il timpano dallo sparo, il boato ha creato una sconveniente interferenza tra me e l'ambiente in cui mi trovo inserita.

Se fossi stata appena un po' più lenta sarei morta, e lo shock, se possibile, mi fa agire ancora più impulsivamente.

Rüdiger, che tra i suoi pensieri è perso come nel mezzo di una tormenta, non è in grado di reagire per tempo: ho sfilato la daga dalla federa e gliel'ho infilzata nel fianco con un movimento secco, e nel sentire il suo stomaco improvvisamente molle, come una tartaruga privata del suo carapace, una pugnalata - per certi versi - è come se l'avessi ricevuta io.

Rilascio il manico di colpo. I suoi respiri mozzi e l'addome sobbalzante me lo rendono impossibile da abbandonare.

La mia voce è ancora fievole e dolce quando articolo: «non è mortale» a mo' di attenuante. Ho gli occhi incollati alla macchia di sangue che si sta propagando intorno alla lama, e non ho avuto il fegato di guardarlo in viso. Tappo la ferita con le mani, nient'affatto sicura di avere la vittoria in tasca.

Il colonnello mi solleva il mento con la delicatezza che raramente aveva avuto, ma il mio sguardo continua a sfuggirgli. Come due gazzelle le pupille saltano da parte a parte, non trovano ricetto. Rüdiger sa che sono buona, diversa da lui, e che il sangue sulle mani lo aborrisco anche se è quello di un fanatico nazista.

Non ha ancora abbassato la pistola; al pari di altre volte in cui lo avevo fatto sanguinare, i suoi occhi assomigliano al sorriso aguzzo, alla dentatura smagliante che ricorda un monile di perle. Sono completamente spaesata e persino io che sono capace di mordere, e che già in un'altra occasione avevo attentato alla sua vita, stento a capacitarmi del declino dei miei principi morali. Mi crogiolo nelle sue carezze, poiché se lui è consapevole di essere il vero responsabile - e quindi in grado di comprendermi - riesco a sentirmi meno colpevole. Nella mia testa sono in un limbo: mi sto appellando a chi è peggiore di me per sapere se per il sangue versato mi sarà concessa l'assoluzione o se all'ora di rimettere le mie colpe dovrò espiarne una di più.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora