50. Wollust - Lussuria

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L'intenzione era quella di scrivere qualcosa di un po' più soft, ma poi mi son detta: "ehi, il capitolo si chiama Lussuria, bisogna farla vedere un po' di ciccia, no?" Ed è uscito... questo...

N.B Ci sarà una scena zozzerrima, descritta come si descrive una scena zozzerrima, per cui, se vi volete astenere, potete saltare a piè pari i paragrafi verso il fondo che sono stati scritti in corsivo. 




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Ho rovinato tutto. Lui mi aveva concesso la possibilità di riscattarmi dalla mia condizione, ma il suo piano si è concluso in un nulla di fatto, perché non ho avuto la freddezza di lasciare indietro qualcun altro. Che eroismo becero... lo chiamerei più "generoso masochismo", tendenza all'autoflagellazione per spirito empatico o, semplicemente, voler bene. Non sopporto che i miei amici soffrano a causa mia; è sempre stato così e questo senso di responsabilità è rimasto invariato, anche in un momento critico come questo.

«Vado a prendere un po' d'aria» biascico, ritrattando i termini di Reiner.

Non ho avuto il coraggio di guardarlo; mi sono allontanata senza voltarmi indietro, spingendomi contro il portone come dovessi schiacciare il maniglione antipanico di una tagliafuoco. Immagino il brusio all'interno, dopo un'uscita tanto melodrammatica! Fuori, al contrario, è sorprendentemente tranquillo e, se chiudo gli occhi, non trovo differenze tra la terrazza di Rüdiger e quella a strapiombo sul mare, dalla quale era possibile ammirare il golfo di Trieste. La scalea di tratti argentini immersi nel blu, il canto delle cicale tra le gaggìe, l'odore balsamico di iodio... questa era Trieste nell'ora che mi è più cara, d'estate, quando la pelle profumava di sale e le strade erano gremite di ragazzini. Sono nata in quella città e subito mi avevano portata via, in un paese vicino che era fin troppo lontano. La scuola mi ci riportava quasi ogni giorno e, perciò, affrontavo il viaggio in autobus con impazienza, quasi dovessi imbarcarmi ogni volta e salpare verso mete sconosciute.

«Ma cosa... era il momento giusto! Perché...» Sapevo sarebbe arrivato. Ma speravo infantilmente che il confronto non arrivasse mai.

«Non ho potuto» inizio col dire, sottraendomi a una carezza. «Non è il coraggio che mi manca; mi manca la libertà di poter prendere decisioni da sola.» Mi stringo il braccio con la mano, inspirando a pieni polmoni una fragranza di fiori e di erba appena tagliata. «Hoffmann mi starà cercando...» Faccio per rientrare, ma, per errore, affondo il piede in un cespuglio di commeline turchesi; mi giro di scatto, preoccupata d'aver calpestato qualcosa di bello, ma i fiori sono ancora lì, proprio come Reiner.

«Hai deciso di sopportare; bene, vuol dire che sopporteremo, ma questa storia finirà presto. Aggiungerò i loro nomi alla lista per il trasferimento e mi accerterò personalmente che ciascuno di loro sopravviva fino ad allora. Vada anche per il padre dell'ungherese. Quando partiremo per Weimar, non avrai più nulla da temere.» Potevo io procedere come se non avesse detto niente? No, non potevo. Ha una soluzione per ogni evenienza, che si adatta alle mie esigenze e alla mia moralità, oltre che ai repentini cambi di programma da parte di Rüdiger. Prende da sé le mani che gli avevo negato, convincendomi della sacralità di questo attimo insignificante. Sulla scia della festa ma totalmente estranei, con le palpitazioni, gli occhi lucidi di commozione, mi ha riscaldato il cuore e, nella mia mente, va formandosi pian piano l'idea di ciò che verrà: io... io ti... «Soltanto tu puoi infrangere questo sogno. Non darò importanza a nessun altro.»

«Non lo farò» mi affretto a rispondere, formicolante. Ho ancora poca dimestichezza con il mio corpo; tutto ciò che so, deriva da fantasie, sogni, visioni, e certi bollori che mi rendono tutta un tremito, mi mettono a disagio. Pur con le sue mani a stringermi, mi sentivo vuota perché lui non era vicino; gli ho percorso il braccio per trovare appagamento almeno nell'aver conquistato un brandello in più di pelle, ma questo piccolo traguardo è ben lungi dalla nozione di "piacere" che anelo e di cui ho vergogna. Reiner ha seguito pedissequamente il percorso tracciato sulla peluria bionda, che si è rizzata al mio passaggio, e che ha generato in lui una lunga scarica di brividi. In questa oscurità, i suoi occhi sono densi come commeline, ma io so bene che hanno la trasparenza dell'acqua, che ricordano la rientranza di mare nelle grotte carsiche, dove il giorno non sorge mai. «Ti voglio» mormoro, dopo aver ricacciato questo pensiero per una decina di volte, augurandomi che fluisse in tempo.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora