77. Rimpianti

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Non mi
sembra vero. Lo penso, lo esterno, cingendomi piano le gambe e riposando la schiena irrigidita contro il petto di Rüdiger. La sua calma dà libero sfogo ai sentimenti repressi, al dolore ottundente che mi depriva di ogni prospettiva futura, che pone la sua morte come linea di demarcazione invalicabile tra il presente e un passato in cui mi ero interpolata a forza e in cui mi illudevo d'essermi ormai inserita come una nativa.

Le parole mi paiono superflue. Non ho niente da aggiungere a quel che già è stato scritto e detto. Ho l'impressione di essere sopravvissuta a un incidente stradale. Nell'ombra che le pale del ventilatore proiettano sul soffitto riesco a scorgere le ali di un angelo.

Rüdiger rispetta il mio silenzio. Apprezza che mi lasci stringere da lui, che il suo contatto non mi evochi più il campo, o la prepotenza con la quale il colonnello s'ingeniava per ingombrare i miei spazi.

«Che cosa c'era scritto in quella lettera?» Chiede, presumendo che nel video che andremo a visionare verrà menzionata da Ariel. Lo credo anch'io, in verità; se non altro perché quella lettera ha avuto un impatto sulla sua vita.

Gliela potrei recitare... Ho esitato così tanto che a furia di scrivere, cancellare, riformulare e riscrivere ho imparato a memoria ogni sua frase. Mi decido a riportargliela per intero, reputando ogni punto importante al punto di non volerne svilire il contenuto con una sintesi:

Se Ariel ti ha fatto avere questa lettera, vuol dire che, nonostante gli sforzi, non sei riuscito a trovarmi. Non sono stati la paura, la noia o l'egoismo ad avermi allontanata da te, ma circostanze esterne che non sono in grado di governare. Nulla di male mi è stato fatto; non dannarti pensando ai responsabili del mio rapimento. Non è stato lui a portarmi via, né qualcun altro per suo conto. Non sono stata rapita e, per quanto non voluto, il mio allontanamento è da imputare a me soltanto. Se solo avessi la possibilità di farti sapere quale dolore, quale tormento mi dà il pensiero di non rivederti... Non c'è cosa che io desideri di più che accettare la tua proposta, e trasferirmi a Dresda, o dovunque tu voglia; avere una casa tutta per noi in cui far crescere i nostri bambini. Non avrei mai voluto farti soffrire; posso solo immaginare quali siano i tuoi sentimenti, e se col tempo dovessi accorgerti di amarmi anche solo un po' di meno, ti prego di accantonare il mio ricordo e di essere felice. La tua felicità, seppur non condivisa, sarà anche la mia. Io farò quanto in mio potere per tornare da te. Potrei arrivare troppo tardi, o non arrivare mai. Sarebbe più giusto chiederti di rassegnarti; essere clemente, verso di te e verso di me, e dissuadermi dall'intento di intromettermi una seconda volta nella tua vita, ma non ho questa forza. Non mi si può chiedere questo... Ti conosco, e so che tu faresti altrettanto per me; so che se fossi qui, al mio fianco, mi sproneresti a non arrendermi, a provarci come faccio sempre, anche quando tutto sembra essere perduto. Ricordo il giorno in cui ho confessato di amarti... Dio, come sono stata impacciata. Se potessi tornare indietro, cercherei le parole giuste, quelle più belle e le più sincere, per farti capire quanto tu sia importante. Ora ti sembrerà una banalità, proprio perché non avevo niente, ma non è così. Non avrei voluto null'altro, anche se avessi potuto chiedere tutto; mai l'avrei scambiato con te. Mi sembra quasi di sentirti morire attraverso ogni parola, e l'unica cosa che posso fare per alleviare la tua sofferenza è chiederti di guardare con più attenzione: le sbavature che vedi sono il mio sangue che stilla dalle vene aperte, le lacrime che di rado hai visto bagnarmi le guance...

Qui vi era uno spazio vuoto; il foglio si era stropicciato, l'inchiostro disciolto aveva reso quasi illeggibili le ultime parole. Avrei voluto essere forte, e svelta, e asciugare quelle lacrime prima che potessero rovinare la mia lettera d'addio. E invece il foglio se n'era imbevuto, la prosa si è sfilacciata. Perché? Perché deve andare in questo modo? È così ingiusto, così ingiusto... Avevo scarabocchiato, senza più curarmi della forma. Sul fondo della pagina avevo aggiunto un'ultima frase:

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora