10. weinen - piangere

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«Io, io non ce la faccio. Non ce la posso fare.» Protesto, piantando gli occhi in quelle perle gaudenti che s'inebriano delle sofferenze altrui, privandoli di ogni gioia.

«Scendete su, di cosa avete paura?» Dobbiamo obbedirgli per salvare la pelle. Obbedire, qualcosa che non avrei neppure considerato se non fossi stata costretta dalle circostanze. La mia inclinazione ribelle si piega dinanzi al potere di qualcun altro, un pensiero che suscita vergogna e orrore in me, che sono sempre stata un'impertinente.

Mi avviluppo al corpo rigido di Fried, che mi dà l'impressione di essere di stagno, piuttosto che di carne. Il comandante mi ruota attorno, scatenando tutta la mia impulsività.

«Dove credi di andare, ragazzina?» Sbotta il rosso, alludendo ai miei muscoli tesi. «Ci sono altri sottocampi nei dintorni e puoi star certa che, se qualche povero cristo si accorgesse della tua presenza, ti denuncerebbe per paura di venir giustiziato.» Continua, strattonandomi pericolosamente verso di lui. «Non puoi fuggire, tesoro.» Termina a pochi centimetri dal mio viso, sollevandolo con quelle sue dita sporche di sangue.

«Ti aiuto io.» Esordisce Friederick, tendendomi la mano e liberandomi dalla presa ferrea dell'ufficiale. Non ha idea di quanto io possa essergli riconoscente per aver fatto mollare la presa al rosso, ma questi, indispettito, mi riacciuffa per il gomito, stringendo fino a farmi contorcere.

Papà, dove sei? Avevi detto che non avresti mai permesso a nessuno di ferirmi, che li avresti uccisi con le tue stesse mani. Mi sta facendo male, mi sta facendo male!

«Non osare sfidarmi, Miller. Dovrei farti fucilare per aver messo a repentaglio la segretezza di questo luogo.» Ma nel sentire le sue unghie conficcate nell'avambraccio, gli occhi taglienti sul mio corpo e il puzzo di sigaretta invadermi le narici, non resisto. Corro, senza meta e senza aver neppure riflettuto prima di agire. L'aria mi sferza sul viso, trascinando con sé piccoli zampilli acquosi, che sfrecciano veloci lungo le tempie.

Voglio andarmene da questo posto e voglio andarmene adesso.

Scappa, scappa, non fermarti. Questo posto, senza neppure avervi messo piede, mi sta logorando.

Sono sicura che mi stiano rincorrendo entrambi, che sarà il più veloce o il più determinato a prendermi per primo e io voglio che sia Friederick, così da poter fuggire insieme.

La speranza è stata soffocata ancor prima di poter nascere: non c'è via di fuga, eppure continuo lo stesso a galoppare come impazzita, sfrecciando attraverso la campagna, una landa desolata.

Friederick invoca il mio nome, supplicandomi di rallentare. È lui a cingermi la vita; la vista del braccio ricoperto da una sottile peluria bionda mi fa reclinare la testa sulla sua spalla, piangente.

«No, ti prego... non farmelo guardare» scalcio, scusandomi con lui mentalmente per il dolore fisico che gli sto causando e quello interiore che gli ho già causato.

«Perdonami, non posso» mi stringe a sé, sussultando nell'avvertire la contrazione dovuta agli spasmi. Si sta avvicinando, Schneider. Aveva smesso di inseguirmi dopo aver realizzato che Fried si sarebbe improvvisato Jessie Owens pur di raggiungermi.

«Che tenerezza» sputa il rosso, scartando il busto nel vedere quale sguardo animale gli abbia riservato. Distese aride come queste terre; un colore banale dicevano, ma egli ne è incomprensibilmente attratto e non desiste.

Vade retro, Satana.

La sua espressione divertita, allucinata, si spegne quando il biondo mi deposita un bacio casto sulla fronte, per calmarmi. Egli si irrigidisce, come se Friederick gli avesse rubato la scena, come se mi avesse sottratta dal catalogo dei suoi "nuovi acquisti".

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora