26. töte mich - uccidimi

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Accarezzo il suo viso, versando pallide lacrime sulla pelle bruciata, restia nel lasciarlo andare.

Prima o poi qualcuno lo farà per me, mi strapperà via da lui...

Zeno mi ripete che non tornerà più e che devo rassegnarmi, ma come potrei mai? L'unica persona su cui potevo contare, che conosceva il mio inconfessabile segreto, mi ha abbandonata al mio destino, senza pensare a me.

Perché? Perché, perché...

Uccidendosi ha ucciso anche la mia speranza.

Mi stendo al suolo, accostandomi a colui che, fino a pochi minuti fa, consideravo la mia ancora.

Non si alzerà per confortarti, non riaprirà mai più i suoi occhi azzurri, nè ti stringerà al petto per asciugarti le lacrime. Piangi stellina, perché sai di aver perso, di esserti piegata proprio come Rüdiger aveva predetto.

Al di fuori della mia epoca non sono nessuno; il mio nome non è registrato, la mia famiglia - bisnonni, trisnonni - non sanno nulla di me, non potrebbero mai riconoscermi come loro parente, come potrebbero? In poche parole, non esisto.

I miei genitori, prima o poi, si accorgeranno della mia assenza. Mi cercheranno invano per anni e anni, senza mai trovarmi; urleranno il mio nome nella notte credendomi morta, inascoltati...

Affondo le unghie nel terreno sporco, cercando di contenere il peso enorme che mi sta schiacciando il petto e ostruendo i polmoni. Rantolo, disperata, immaginando come potrebbe essere il mio futuro.

Un senso di malessere anomalo mi fa smettere di piangere. Una fitta all'altezza delle tempie, una saetta luminosa davanti gli occhi; una spirale di immagini fitte e distorte quanto una foresta di rovi. Cerco di porre fine a quel turbinio frenetico di finte stelle, di ricordi sfocati che riaffiorano in superficie, in una volta. Mi aggrappo alle ciocche che sovrastano la fronte, tirando per immagazzinare le informazioni che risvegliano la mia identità sotto forma di stimoli fastidiosi. Socchiudo le palpebre; provo a visualizzare meglio la sequenza, ma è tutto molto confuso. Vedo altre cose, altre persone, altri momenti vissuti; vedo Margherita sbucar fuori dalla casetta abbandonata nel bosco, insieme a me, che ricordavo d'esserci andata sola e d'esser stata inghiottita nella parete.

Non era un portale: lei era lì, sorrideva e mi diceva che in quel posto tetro, dal fetido sentore di muffa, non ci sarebbe tornata nemmeno a pagarla.

C'è la possibilità che Fried sia stato ininfluente, che il varco si sia aperto per pura casualità, piuttosto che per mezzo di elementi magici che vanno oltre ogni razionalità.

Un'altra coltellata al lobo temporale, lancinante, mi restituisce gli anni che ho vissuto; la mia trasformazione da ragazzina in donna. Ed è un'esplosione di colori, una scoperta di luoghi sconosciuti, caratterizzati da un gusto di vivere che credevo non appartenermi. Sono emozioni vere quelle che rincorro, come un carico di caramelle che ho assaporato nel tempo: gioia sfrenata, dolori tutt'altro che adolescenziali, ebbrezza della ribellione, tranquillità imperante e ristoratrice dopo il mio personale Sturm und Drang*.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora