Rüdiger si perde tra la bellezza dei pilastri solidi e della parete in travertino, eclissando il fiume di parole che sgorga imperterrito dalla bocca dell'interprete.Ormai ha capito che è perfettamente in grado d'intendere la nostra lingua, per cui perché si ostina a rivolgersi a lui in tedesco? A me sembra una ruffianata e non ci vorrà molto prima che il colonnello lo interpreti come un'ammissione di inferiorità.
Parla il tedesco, come i conquistatori dell'Europa, non sapendo che inizieranno a capitolare con l'arrivo del rigido inverno russo.
Eppure, una frase particolarmente significativa da parte del colonnello, lo ringalluzzisce, incentivandolo a non prostrarsi più come un servo dinanzi al signore.
«Berlino sarà meravigliosa, ma Roma resterà sempre Roma. Non siamo in grado di ricreare strutture come queste.» Non si è dilungato più di tanto ma, in ogni caso, si è esposto, esprimendosi a nostro favore con parole molto diverse da quelle pronunciate dal suo Führer, in visita nella capitale francese:"Parigi è una bellissima città, ma Berlino non avrà eguali."
Abbiamo un primato adesso. A detta del comandante, quantomeno.
Giunto il momento di salire sull'auto, si palesa subito un problema: siamo in sei, autista compreso, e lo spazio all'interno è stato pensato per un massimo di cinque persone.
I capricci di Rüdiger sempre su di me si devono ripercuotere!
Stretta tra i sedili posteriori, posso certamente affermare che "imbarcare" il veicolo non è stato per nulla semplice: essendo io la persona di troppo, mi è toccato decidere su quali ginocchia sedermi e, non potendo poggiarmi su quelle del rosso - a cui è stato riservato il posto accanto a quello del conducente - ho scelto di accartocciarmi tra le braccia dell'uomo appena conosciuto, Attila.
«Rilassati. Sei troppo tesa» mi consiglia l'italiano, bisbigliandomi all'orecchio.
«Voi non stringetemi così tanto, o mi spezzerete!» Cerco di sfuggire alla presa spaccaossa che avrebbe voluto preservarmi dagli smottamenti, ma che di fatto mi fa mancare il respiro, oltre che imbarazzare.
«Sono abituato alle membra robuste dei nemici dello Stato, non al corpicino di una bambina!» Mi tira di nuovo verso di lui, non sapendo come tenermi. Quanto mi da rabbia! Sto continuando a slittare avanti e indietro e, dopo tre giorni di treno, ho la schiena a pezzi.
«Primo, non mi interessa sapere con quanta forza stritolate quei malcapitati per cavargli le informazioni; per seconda cosa...» Spingendo su coi talloni, atterro direttamente sul suo grembo, squadrandolo con sufficienza. «Visto che mi vedete così bambina, non dovrò aspettarmi nulla. Sbaglio?»
Egli deglutisce per un momento, colto alla sprovvista. Prima ancora che riesca a ribattere, mi ritrovo sdraiata sui tappetini posteriori dell'auto, compressa tra il sedile anteriore e i piedi dell'interprete. «Fanculo» sibilo, rivolgendomi al colonnello che aveva proteso il braccio all'indietro e buttata giù, trascinandomi per una caviglia penzolante.
Non si è servito neppure della vista; il desiderio di "tutelare" ciò che crede di possedere ha fatto da sé.
Alloggeremo insieme, come una coppia, qui a Roma dove sarò esposta allo scherno dei miei compatrioti. Non chinare la testa davanti agli invidiosi del mio paese è un conto; questo un altro e ben più salato.
Non potrò godere a pieno della città che più amo, ma almeno avrò un'opportunità che, nella mia vita, non mi sarebbe mai stata offerta. Rüdiger è un ospite, ma è anche un uomo ricco e influente, che si è potuto permettere un albergo di gran lusso, intessuto nel centro storico e con una vista mozzafiato.
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Unsere Schatten - Le nostre ombre
Ficción histórica[EX CANONE INVERSO - BEHIND ENEMY LINES] Estate, 1942. Alle porte di Auschwitz-Birkenau una ragazzina corre a perdifiato, cercando di sfuggire al suo destino. Cade dal suo scranno dorato; non sa nulla del mondo, tanto più dei bui anni quaranta, un...