Capitolo 2

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Il primo treno per Londra partì alle quattro di pomeriggio e quando arrivai si era già fatto buio. Chiamai il primo taxi disponibile e mi feci portare alla società di Henry, sicura di trovarlo lì. Speravo solo di trovarmi davanti una segretaria che mi lasciasse passare immediatamente, senza dover prima chiamare Crystal o poi Henry. Avevo provato a chiamarlo almeno cinque volte nell'arco della giornata, ma non mi aveva mai risposto. Neanche Dylan mi rispondeva, ma lui probabilmente era ancora nella fase di ricovero post-rottura, non avrebbe potuto darmi nessun informazione utile.
Pagai in fretta il taxista e mi precipitai fuori dal veicolo, rischiando di cadere in una pozzanghera. Aveva piovuto, ma ora il cielo si era nuovamente rasserenato mostrando l'imponente e bellissima Luna che si stagliava nel cielo scuro.
Per mia fortuna, trovai all'ingresso Grace, una segretaria che mi conosceva, e mi fece oltrepassare la sicurezza senza tante storie. Mentre io mi allontanavo, mi disse che trovare lei era stata una fortuna perchè era arrivata da appena cinque minuti, dando il cambio ad un'altra ragazza.
Provai a richiamare Henry, ma scattò di nuovo la segreteria; negli uffici non c'era quel caotico via vai di persone e tutto era piuttosto tranquillo. Poteva significare solo una cosa: Henry non era lì, ma speravo di sbagliarmi.
Andai dritta verso il suo ufficio, trovandoci Crystal che metteva in ordine una serie di fogli buttate all'aria.
"Ciao" la salutai, per renderle nota la mia presenza "Scusami, non voglio disturbarti, ma cerco Henry"
"Se n'è andato" disse lei "Almeno un'ora fa"
"Va tutto bene?" le chiesi io, vedendola un po' frastornata.
Lei scosse la testa e si massaggiò le tempie "È come impazzito, si è messo a sbraitare contro chiunque gli rivolgesse la parola e ha lasciato un disastro qui dentro"
Chiusi gli occhi, maledicendomi per avergli dato ascolto ed essermene ritornata a Cambridge.
"Tu sai il motivo" ipotizzò Crystal.
Annuii piano, notando sulla scrivania la busta bianca di Trevor, aperta. Mi avvicinai alla scrivania e presi la busta in mano, vedendone finalmente il contenuto.
Il primo foglio che analizzai fu un certificato di paternità, che confermava il legame tra Trevor Price e Robert Cooper. Assieme al certificato, c'erano due fotografie: una raffigurava Robert Cooper con un bambino dai capelli bronzei, che non poteva avere più di sei anni. Erano in un prato verde e si facevano il solletico a vicenda. La seconda fotografia, invece, mostrava lo stesso bambino cresciuto, nella fase dell'adolescenza, sorridente all'obiettivo accanto a Robert. L'uomo della foto, Robert, era identico al ritratto che Henry aveva fatto del padre. Doveva essere per forza lui.
Henry aveva avuto la conferma che ciò che diceva Trevor era vero: erano fratellastri.
Non potevo neanche immaginare come Henry si potesse esser sentito in quel momento Scoprire una verità così nascosta e inaspettata doveva essere devastante.
"Forse è a casa" mormorai, dimenticandomi della presenza di Crystal.
"Qualunque cosa sia successa, aiutalo" sembrava quasi che mi stesse implorando, a giudicare dalla sua voce "Vederlo in quello stato è orribile"
Annuii debolmente, ormai mi stavo già avviando verso l'uscita.
Presi un altro taxi, ringraziando la mia buona stella che quel giorno fossero quasi tutti liberi, e mi diressi verso casa di Henry.
Non avevo idea in che stato lo avrei trovato: freddo e distante? Arrabbiato? Probabilmente un misto di tutto. Iniziai a mangiucchiarmi l'unghia del pollice destro per il nervosismo.
"Signorina? Siamo arrivati a destinazione" mi disse l'autista con un elegante e marcato accento inglese.
"Oh, certo" presi il portafoglio leggendo la cifra su tassametro.
Di nuovo, chiamai Henry e, di nuovo, non ricevetti alcuna risposta.
La porta del suo appartamento non era chiusa a chiave, quasi come se fosse entrato in fretta e furia e non avesse badato alla sicurezza.
Il salotto era vuoto, così come la cucina e la zona alcolici; non era nemmeno in camera sua o in nessuna delle altre stanze, perciò rimaneva solo un posto dove andare: il suo studio di pittura al piano superiore.
Man mano che mi avvicinavo alle scale, sentii Henry che parlava da solo ad alta voce, anche se erano per la maggior parte grugniti e urli soffocati. Mossi le gambe più velocemente e, arrivata in cima alle scale, rimasi sconvolta da quello che stavo vedendo: Henry aveva tolto dalla parete i ritratti dei suoi genitori e li stava distruggendo. Aveva già tagliato la tela della madre con delle forbici, mentre quella del padre era ancora in fase di deturpazione.
Non aveva acceso le luci, la stanza era regnata dall'oscurità, illuminata dalla fioca luce riflessa della Luna e dalle luci della città.
"Henry" dissi con un filo di voce, immobile "Che stai facendo?"
Lui si voltò verso di me sorpreso, evidentemente non si era accorto del mio arrivo "Che ci fai qui?"
"Ho visto la busta"
Forse non era la cosa migliore da dire, perchè mi guardò corrucciato, posò le forbici sul tavolo e si riempì un bicchiere di vetro con dello scotch liscio "Vattene via di qui" lo bevve tutto in un sorso.
"So che-"
"Tu non sai niente!" la potenza della sua voce mi fece indietreggiare "Lui... Bastardo!" si girò e lanciò il bicchiere contro la parete dove prima erano appesi i dipinti. Il vetro andò in frantumi, ma era in un angolo lontano da entrambi perciò nessuno di noi due venne ferito.
"Mi ha mentito per tutta la vita, mi ha mentito!" prese dalla tasca un foglio di carta sgualcito, era una lettera "E mia madre sapeva tutto! Lo sapeva e ha scelto di non dirmelo. Tutti e due!" vidi le lacrime iniziare a sgorgare dai suoi occhi, la vena sul suo collo sembrava sul punto di esplodere e se ci fosse stata abbastanza luce, avrei visto il suo viso rosso per la rabbia "Mi avevano fatto credere di non avere dei segreti, di essere la famiglia perfetta" non l'avevo mai sentito urlare così, non riuscivo a muovere un muscolo "E sono morti con questo segreto del cazzo!"
Feci un passo verso di lui, ma Henry indietreggiò "Vattene via" scosse la testa "Non voglio che tu sia qui... Che tu mi veda così..."
Ritrovai la voce "No" il mio era solo un sussurro "Non me ne vado"
Lui fece per ribattere, ma fu scosso da un tremito e corrucciò il viso ancora di più, completamente affranto. Fu allora che le urla cedettero il posto ad un pianto.
Le ginocchia gli cedettero e finì per terra, fissando il pavimento "Aveva un altro figlio"
Vederlo in quello stato era troppo doloroso, avrei voluto fare qualcosa per toglierli tutta quella desolazione. Non riuscii a trattenere le lacrime e il labbro inferiore iniziò a tremarmi.
Mi sedetti sulle ginocchia davanti a lui, prendendogli il viso con le mani per far in modo che mi guardasse.
"Gli voleva bene" aveva un'espressione devastata "Quando mio padre è morto, hanno fatto recapitare a Trevor una lettera che si trovava assieme al suo testamento... Gli ha detto di trovarmi e..." disse tra i singhiozzi "E che io ero la sua famiglia, del suo figlio nascosto" le mie mani erano bagnate delle sue lacrime, ma anche io piangevo "Invece a me non ha scritto niente" fece una pausa per respirare "Niente"
"Oh, Henry" lo strinsi a me, cercando di dargli tutta la forza di cui aveva bisogno in quel momento. Fui felice di quell'abbraccio anche perchè così non avrebbe visto il mio viso contorcersi a causa delle smorfie di dolore che provavo. Il mio cuore si era spezzato solo perchè lo aveva fatto anche il suo.
Provavo anche tanta, tanta rabbia nei confronti di suo padre.
Henry chinò la testa sulla mia spalla e si aggrappò a me come se fossi l'unica cosa che lo legasse a questo mondo "Ti prego..." disse con voce strozzata, ed io chiusi gli occhi, preparandomi a sentirmi dire di lasciarlo da solo "Ti prego... Resta"
Lo strinsi ancora più forte "Resto" gli sussurrai, passandogli le dita tra i capelli "Resto, resto..." lo ripetei come una ninna nanna, per calmare entrambi.

Tra tutti i capitoli che ho scritto finora, questo è tra i miei preferiti. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Le sfumature della notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora