Capitolo 43

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Le giornate iniziarono ad articolarsi tra stage, organizzazione della sfilata e studio. Mangiavamo se ci ricordavamo di farlo, eravamo così immerse nel nostro progetto di commemorare Vicki che nient'altro aveva importanza. Avevo fatto capire a Henry che ero molto impegnata in questo periodo, ci vedevamo durante le pause pranzo e, sotto sua richiesta, lo telefonavo ogni sera per aggiornarlo. Non aveva capito appieno l'idea della sfilata, ma mi aveva supportata e mi stava lasciando dello spazio per aiutare le altre. Io, Federica e Lizzie non facevamo parte del club dell'organizzazione degli eventi, ma non ci avevano detto di no quando c'eravamo proposte di aiutare, anche perchè la maggioranza del club doveva pensare al Mayball. Ogni tanto Henry veniva a Cambridge per un paio d'ore e mi costringeva a mangiare qualcosa, poi andavamo a casa nostra e gli raccontavo della giornata e dei progressi della sfilata, poi ci rimaneva tempo ci rendevamo felici nella camera da letto. La tristezza non era andata via del tutto, ma stavo molto meglio, così come Arianna e Greta. Federica era ancora chiusa nel suo mutismo selettivo, ma aiutava Lizzie a cucire gli abiti senza sosta. Luke era venuto a Cambridge numerose volte e Federica aveva smesso di mandarlo via, ma si comportava in maniera così distaccata che ad un certo punto lui aveva smesso di venire.
"A Stoccolma era strano" mi aveva detto Henry una sera mentre cenavamo "Non parlava con nessuno e fissava il telefono ossessivamente"
Io gli avevo raccontato della situazione tra lui e Federica, la sua risposta era stata "Magari con il viaggio a Bruxelles riesce a rilassarsi e a chiarire i suoi pensieri"
"Lei ha bisogno di riprendersi, non può arrabbiarsi se ci mette un po' di più degli altri"
Dopo avevamo cambiato argomento, parlando dello stage che a fine maggio sarebbe finito. L'evento conclusivo sarebbe dovuto essere a giugno, ma era stato spostato al venticinque maggio per motivi sconosciuti.
Proprio perchè lo stage stava per finire, alla fine mancava solo un mese, Jim continuò ad assegnarmi compiti su compiti. Aveva sentito della "tragedia di Cambridge" e mi aveva detto che gli dispiaceva, aggiungendo però "Tuttavia non aspettarti una riduzione del lavoro, le tragedie personali non possono intaccarci nel lavoro"
Non mi aspettavo una riduzione del lavoro, ma trovai insensibili le sue parole e nella mia mente lo insultai con uno "Stronzo" e poi con "Proprio quando iniziavo a pensare che mi stessi simpatico"
Jordan, l'altro ragazzo di Cambridge alla Foster, lo vedevo poco e niente, lavoravamo su due piani diversi e ci incontravamo solo all'entrata. Una sera mi trattenni più a lungo del solito, strinsi i denti perchè avrei dovuto incontrare Henry per salutarlo prima che partisse per Bruxelles.
"Perchè quella faccia, Evelyn?" fece Jim "Un'altra tragedia?" dentro di me sapevo che era un tentativo fallito di farmi ridere, ma non ci trovai niente di divertente "Qualche problema?" si corresse con un tono di voce più serio.
"No" scossi la testa e continuai a trascrivere al computer un documento "Nessun problema"
Lui sospirò e si sedette davanti alla scrivania, io ero seduta al suo posto "Andiamo, lavoriamo insieme da abbastanza tempo, non dirò niente a mio padre"
Di solito avrei continuato ad affermare che non avevo problemi e che, anche se ci fossero stati, di certo non ne avrei parlato con lui, ma ero stanca e stressata, forse queste motivazioni mi spinsero a parlare "Henry stasera parte per Bruxelles, volevo salutarlo ma si è fatto tardi" il mio splendido fidanzato, leggendo il mio messaggio in cui gli dicevo che non ce l'avrei fatta, mi aveva detto che sarebbe venuto lui alla Foster, ma gliel'avevo impedito. Non osavo immaginare la reazione di James Foster, il padre di Jim, che lo odiava "E io e le mie amiche stiamo organizzando una sfilata per commemorare Vicki, ma sta richiedendo più energie di quanto mi aspettassi"
Jim giocherellò con una palla antistress che aveva in mano "Bruxelles? Cosa ci va a fare lì?"
"Lavoro" non dissi nient'altro, perchè non erano affari suoi cosa Henry facesse o non facesse a Bruxelles.
Lui percepì il mio cambiamento di tono e non parlò più di Henry "Se sei troppo stressata" mi aspettavo che dicesse "Prenditi un giorno libero", ma invece disse "...Rinuncia a questa sfilata, la tua amica ormai è morta, no?" in quel preciso instante, smisi di parlare con lui a meno che non si trattasse di lavoro. Certe persone mancavano di sensibilità.
Quando quella sera uscii dall'ufficio, con mia grande sorpresa trovai fuori Arthur ad aspettarmi "È tardi" si giustificò "E il signor Cooper non voleva che lei prendesse il treno a quest'ora, mi ha detto di riaccompagnarla a Cambridge e di darle questo" mi porse un foglietto di carta rettangolare, sul quale c'era scritto con un elegante calligrafia:

Qui sotto ti ho scritto il numero di telefono di Arthur perchè se Jim Foster ti fa finire ancora così tardi, devi chiamarlo e farti venire a prendere. Non esigo un no come risposta, mandami un messaggio quando torni a casa.
Henry

Sempre così autoritario ma così tenero.
Tornai a Cambridge che erano circa le dieci e mezza di sera, i miei piani erano quelli di infilarmi il pigiama caldo e mettermi sotto le coperte, ma trovai Luke Williams seduto in corridoio, con la schiena appoggiata alla porta "Che ci fai qui?" gli chiesi.
"Domani mattina parto per raggiungere Cooper a Bruxelles, volevo salutarla prima di partire ma lei è..." sbuffò frustrato "Abbiamo litigato"
Chiusi gli occhi e sospirai, resistendo alla tentazione di prenderlo a pugni "Perchè?"
"Perchè sono settimane che è fredda, come se non sopportasse la mia presenza"
Mi avvicinai a lui e lo guardai dall'alto "Ti rendi conto che una nostra amica è morta?"
Lui si alzò e, per la vicinanza, fui costretta ad alzare la testa per guardarlo negli occhi.
Luke era alto quanto Henry, ma in quel momento tutto il suo corpo tendeva verso l'alto per la rabbia "Certo che me ne rendo conto, ma io voglio aiutarla!"
"A volte il miglior modo per aiutare è farsi da parte!" proprio io, però, non potevo arrabbiarmi con lui per il suo comportamento "Ascolta, quando la nonna di Henry è morta, ho iniziato a comportarmi come te in questo momento, poi però qualcuno mi ha fatto capire che era meglio lasciargli il suo spazio per elaborare la cosa" lui continuava a guardarmi infuriato "E lui è tornato da me, felice che io non avessi insistito"
"Federica non è Cooper" si mise le mani in tasca "Non mi piace che..."
"A nessuno piace che lei non parli" sbottai "Ma se è quello di cui ha bisogno, allora fatti da parte e assecondala. Non tutto riguarda te, Luke" la mia voce era acida, ma ero stanca e lui mi stava facendo infuriare.
Luke non mi rispose, si limitò ad andarsene con uno sbuffo frustrato e un'occhiata truce.
Feci una smorfia di rabbia prima di entrare nell'alloggio. Arianna e Greta stavano già dormento, Federica invece era in piedi vicino alla porta, dalla sua espressione, sembrava che avesse sentito tutto.
"Grazie" mi disse "Lui non lo capisce, ma ho davvero bisogno del mio spazio ora" era la frase più lunga che le sentivo dire da giorni.
Le feci un cenno col capo e le sorrisi stanca "Anche se non lo capisce, è evidente che tiene a te. Non lo scordare"
Con un abbraccio ci demmo la buonanotte, prima di concederci il nostro meritato riposo.

Le sfumature della notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora