Capitolo 17

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"Che ore sono?" mi chiese Federica insistente, per la quinta volta negli ultimi cinque minuti.
"Le tre di pomeriggio" roteai gli occhi "Non chiedermelo più"
"Dovevano essere qui dieci minuti fa"
"Forse c'è traffico" iniziai a dondolare, spostando il mio peso da un piede all'altro, l'allenamento in palestra del giorno prima mi aveva distrutta "Non preoccuparti"
Henry e Luke stavano arrivando da Londra, erano atterrati un paio d'ore prima, e ci avevano promesso che sarebbero venuti a Cambridge prima di tornare in ufficio. I primi tempi in cui io e Henry ci frequentavamo, quando io abitavo ancora a Verona, non mi pesava la lontananza, non ci eravamo visti per un mese ma non mi ero lamentata. Invece ora, distanti solo per circa quattro giorni, mi sentivo come se mi trovassi in una zona rarefatta e Henry fosse una bombola d'ossigeno che non vedevo l'ora di avere sottomano.
Non appena vidi l'auto di Henry avvicinarsi all'ingresso del campus, inspirai profondamente e sorrisi, sentendomi il petto scoppiare di gioia. Lui e Luke avevano viaggiato nella stessa auto, probabilmente perchè tra un paio di ore entrambi sarebbero andati via.
I due uomini scesero dall'auto e io corsi da Henry, saltandogli addosso e facendolo piegare all'indietro per incassare il colpo. Mi strinse mentre io gli cingevo i fianchi con le gambe e fece una risata sonora, nascondendo il viso tra i miei capelli "Non ti azzardare più a mancare per così tanti giorni!" gli dissi, serrando le mani dietro la sua schiena "Chiaro?"
"Non so se posso promettertelo" buttò indietro la testa per guardarmi negli occhi "Anzi, se l'accoglienza è questa, forse dovrei partire più spesso"
Lo guardai torva e lui mi baciò, mettendomi una mano dietro la nuca, tra i capelli. Entrambi sorridevamo e ridevano durante il bacio, che dall'esterno doveva sembrare molto strambo.
Anche Luke e Federica si stavano baciando, la loro prossima tappa sarebbe stato il nostro alloggio per recuperare il tempo perso.
"Andiamo" mi mormorò Henry mettendomi giù, aprendomi la portiera da passeggero dell'auto "Williams, ci vediamo qui alle sei?"
Luke gli fece un cenno con il capo, ma lui e Federica si stavano già allontanando.
Io e Henry arrivammo in pochissimo tempo nella strada della nostra casa intima e accogliente, parcheggiò l'auto davanti al cancelletto. Il tragitto era stato silenzioso e teso, entrambi volevamo saltarci addosso ma avevamo il buon senso di aspettare di entrare in casa. Le mie chiavi erano rimaste nel dormitorio, ma Henry aveva le sue e aprì la porta d'ingresso in fretta e furia.
Mi chiusi la porta alle spalle e Henry si avvicinò con forza, prendendomi il viso tra le mani e baciandomi con così tanto desiderio e passione che, se non ci fosse stata la porta alle mie spalle, sarei caduta a terra.
Gli misi le mani sul petto e lo spinsi verso il muro alla mia destra, togliendomi svelta il maglione che indossavo, sotto il quale avevo solo un reggiseno nero di pizzo. Lui mi prese per le spalle e mi fece ruotare, spingendomi contro il muro delicatamente e con forza al tempo stesso, togliendosi la giacca e la camicia, aiutato da me per sbottonarla.
Le nostre labbra si sfioravano, si sfregavano e infine si toccavano, come se si raccontassero una storia silenziosa, una storia piena di passione.
"Forse..." mormorai, con una voce che non sembrava mia "Potremmo parlare, raccontarci cosa abbiamo fatto..."
Lui mi sollevò, mettendomi le mani sotto le cosce, coperte dal tessuto ruvido dei jeans "Evelyn" la sua voce era roca, il blu dei suoi occhi quasi non si vedeva per le pupille dilatate "Ora non ho voglia di parlare"
"Già" ribattei mentre andavamo in salotto "Nemmeno io"
Henry mi posò sul divano, mi abbassò la zip dei jeans mentre io lavoravo sulla sua cintura. Le nostre mani si muovevano svelte e esperte, come una squadra di artificieri che lavorava in silenzio.
Prima di chinarsi su di me per baciarmi di nuovo, mi osservò, con solo la biancheria intima addosso, e fece un sorriso che mi fece venir voglia di tirarlo a me. E fu quello che feci.
Non mi accorsi di come ci sbarazzammo dei pochi strati di tessuto che ancora ci separavano, ma ad un certo punto cademmo dal divano e finimmo sul pavimento, Henry sotto di me con la schiena contro il tappetto.
Ci rigirammo sul tappeto innumerevoli volte, le nostre lingue che ballavano, le nostre labbra che si rincontravano come vecchie amiche. Iniziò ad accarezzarmi lungo tutto il corpo e mi inarcai sotto il suo tocco.
I capelli neri di Henry risaltavano contro i mobili legno chiaro della casa, erano arricciati vicino alla nuca. Con le mani esplorai il suo corpo come se fosse la prima volta, anche se ormai mi era familiare come poche cose a questo mondo.
Chiusi gli occhi e ci fu un'esplosione di colori, fu come avere un caleidoscopio dietro le palpebre, un calore improvviso mi invase tutto il corpo.
Quando i bollenti spiriti si furono calmati, Henry crollò al mio fianco, entrambi con il fiatone, e rimanemmo in silenzio per circa cinque minuti. Un silenzio che ci fece prendere atto di essere effettivamente nella stessa casa, nello stesso continente, prima eravamo troppo eccitati e presi l'uno dall'altro per farci davvero caso.
Mi stiracchiai e mi girai verso di lui, mettendogli una mano sul petto "È bello averti qui"
"È bello essere qui"
"Hai sistemato la questione del palazzo?"
"Ci hanno concesso due piani, ma speriamo di poterci espandere" sospirò e voltò la testa verso di me "Ho una cosa per te" si rimise i boxer e si alzò per prendere i suoi pantaloni che erano volati in un angolo della stanza, io approfittai di quel tempo per rimettermi la biancheria intima.
Frugò nella tasca destra e ne estrasse un grazioso portachiavi, con una scritta in giapponese, la bandiera del Paese e un incisione colorata del Monte Fuji e della Torre di Tokyo.
Lo presi dalle sue mani e lo studiai, era davvero bello.

"Promettimi di portarmi un portachiavi nuovo ogni volta che vai in una città... Potrebbe essere una bella tradizione"
"La nostra tradizione" ci rifletté "Sì, mi piace"

Mi sembrava passato un secolo da quando ci eravamo fatti quella promessa. Una tradizione solo nostra che ci univa, trascendendo il tempo e lo spazio.
"Ma dove li tieni tutti i portachiavi che ti porto?"
"Sono tenuti insieme da un anello che è appeso ad un chiodo su un muro della mia camera" posai delicatamente il portachiavi sul tavolino davanti al divano "Guardarli mi mette di buon'umore"
Henry mi sorrise dolcemente e mi chiuse una guancia con la mano, avvicinandomi per baciarmi delicatamente "Tra poco è San Valentino" mi disse, sorprendendomi.
Inarcai un sopracciglio "Non pensavo che ti piacesse festeggiarlo"
"Non mi piace, infatti. Credo sia una festa stupida e priva di senso... Come se le coppie avessero bisogno di un giorno dell'anno per dimostrare i propri sentimenti"
"Sono d'accordo" gli sorrisi "Perciò niente regali, capito?"
"Non avevo intenzione di farti un regalo" corrugò la fronte "Non sei poi così importante"
"Nemmeno tu" scrollai le spalle "Ti uso solo per il sesso"
"Devo essere bravo, allora"
"Non pensarlo, potrei trovare di meglio"
"Meglio di me? Se esistesse una persona così, vorrei conoscerla anche io"
"Tanto hai già esperienza nelle cose a tre"
Lui mi guardò perplesso, poi scoppiò a ridere di gusto "Oh, Eve... Riesci ancora a sorprendermi quando mi rispondi"
Iniziai a ridere anche io, poi lo vidi farsi più serio e mi domandai cosa volesse dirmi "Io e Williams abbiamo parlato"
"E avete deciso di amarvi e di scaricare me e Federica?"
"Sì, mi dispiace"
"Pensavo che mi avresti lasciata per Dylan, questo è un colpo di scena"
"Vuoi restare seria per un momento?"
"No, passare del tempo con te mi ha fa-" lui mi coprì la bocca con una mano "Mhm!" protestai, ma le parole che volevo dire non uscirono dalla mia gola.
"Come stavo dicendo" fece "Io e Williams abbiamo parlato, soprattutto riguardo a quella disastrosa cena"
Strinsi gli occhi mentre lui continuava a impedirmi di parlare.
"E abbiamo pensato che forse dobbiamo rimediare"
"Mhm... Mhm!"
"E siamo arrivati a metterci d'accordo per un pranzo, il giorno di San Valentino, per rimediare a quella serata. Che ne dici?"
Incrociai le braccia e abbassai lo sguardo sulla sua mano, per fargli capire che non potevo parlare se continuava a tenermela ancorata al viso.
"Oh, giusto" riportò il braccio lungo il suo fianco.
Una volta libera, dissi "Primo, non zittirmi più in quel modo!"
"Non mi lasciavi parlare!"
"Secondo, credi che sia davvero una buona idea?"
"Io e Williams abbiamo appianato le nostre divergenze, anche se ci sono dei momenti in cui vorrei ancora prenderlo a pugni"
"Spero solo che non si riveli un disastro come l'altra volta"
"Abbi un po' di fiducia in me"
"Ah! Ora posso stare tranquilla"
Lui mi afferrò le spalle e mi fece stendere di nuovo sul tappetto "Come dici?"
Intrecciai le mie dita dietro il suo collo e lo tirai a me, baciandolo "Che ne dici se parliamo di meno?"
Mi sorrise malizioso "Possiamo anche non parlare affatto"

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