Capitolo 40

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Federica fu più reattiva di me: fece uno scatto in avanti e si inginocchiò accanto a Vicki, sentendole il polso e cercando di farle un massaggio cardiaco, anche se non ne aveva mai fatto uno.
Io rimasi lì, vicino alla porta, a osservare la scena incapace di muovermi. Ciò che mi fece sbloccare furono i singhiozzi di Federica, mi inginocchiai e gattonai fino a quando non le fui accanto, camminare mi sembrava improvvisamente difficile.
I capelli blu erano sparsi sulla moquette, ma avevo gli occhi offuscati dalle lacrime e non riuscii a distinguere i dettagli del suo viso.
Il cadavere di Vicki era davanti a noi, Federica stava ancora cercando di resuscitarla per miracolo con le guance rigate da lacrime silenziose.
Presi il telefono dalla tasca, che mi scivolò per l'irruenza del movimento e finì per terra. Quando riuscii a fermare il tremore delle mie mani, composi il numero delle emergente e chiamai un'ambulanza, anche se ormai era chiaro che non ci fosse più niente da fare.
Quello che successe dopo non riuscivo a ricordarlo bene, sentivo tutti i rumori e le voci in modo ovattato, ero seduta in corridoio accanto a Federica, Arianna e Greta erano con noi e non avevano smesso di abbracciarci per un secondo, anche se anche loro piangevano.
Vidi le ginocchia di Lizzie cedere facendola cadere a terra, Dave provò ad abbracciarla in modo impacciato mentre lei urlava disperata. Josie era sorretta da Caleb, il viso nascosto nella sua spalla.
Il corpo di Vicki era in una sacca per cadaveri e due uomini lo stavano trasportando in una barella fino all'ascensore. Avevo sentito uno di loro dire al rettore Robertson "Sembra overdose da cocaina" disse altre parole, ma capii soltanto "Infarto del miocardio"
Smisi di ascoltare immediatamente, non volevo i dettagli. Davanti ai miei occhi, come un flash, rividi tutti i momenti passati insieme. Il giorno in cui ci incontrammo nel parco, tutte le uscite e le feste, la sera in cui avevamo cantato all'evento di Natale. Mi voltai verso Federica e capii che anche lei stava pensando alla stessa cosa.
Greta intimò un poliziotto di andarsene quando si avvicinò a me e a Federica per chiederci le "circostanze che circondavano il ritrovamento del corpo"
Io e Federica lo guardammo senza capire le sue parole, troppo sconvolte per riuscire a dire qualcosa, e il rettore mise una mano sulla spalla del poliziotto dicendogli che avremmo parlato in secondo momento. Ci lanciò un'occhiata piena di pietà, poi se ne andò intimando a tutti i curiosi di ritornare nei loro alloggi. Non mi ero nemmeno accorta che una folla di studenti si era radunata nel corridoio.
Alzai lo sguardo e vidi Shawn con le lacrime agli occhi che provava a consolare Greta, anche se sembrava più che fosse la ragazza a confortarlo.
Michael aveva come sempre un'espressione stoica, ma una ruga tra le sopracciglia lasciava intuire che si stesse sforzando di non piangere. Arianna era in ginocchio davanti a me, ma aveva una mano stretta nella sua, in piedi al suo fianco.
Improvvisamente, mi sentii a corto d'aria e sentii il bisogno di alzarmi, anche se non appena lo feci iniziò a girarmi la testa. Greta mi chiese dove stessi andando, io risposi semplicemente con "Via"
Stringendo la tracolla della borsa, percorsi le scale in fretta e mi fiondai fuori dal dormitorio, quasi inciampai sulle scale dell'ingresso, ma riuscii a mantenermi in piedi. Per non far preoccupare le mie amiche, scrissi ad Arianna un messaggio veloce.
Casa Cambridge.
Non volevo aggiungere nient'altro, avrebbero capito da quelle due parole. Non avevo preso la mia giacca e quella sera faceva freddo, ma iniziai comunque a camminare, ormai sapevo la strada a memoria e non dovevo neanche pensarci più di tanto.
Vicki era nostra amica.
Vicki, con i suoi capelli blu e le sue maniere espansive.
Vicki, con i suoi abbracci di gruppo e le sue battute inopportune.
Vicki, stesa senza vita sul pavimento della sua stanza.
Venni riportata alla realtà dal clacson di una macchina che sfrecciava a tutta velocità sulla strada, la evitai per un pelo. Non potevo rimanere nel dormitorio, mi sentivo soffocare. Avevo gli occhi gonfi di lacrime, quasi non riconobbi il giusto cancelletto quando arrivai nel quartiere residenziale. Non riuscii ad inserire la chiave al primo tentativo, mi cadde per terra molte volte e la mano mi tremava.
Entrata dentro casa, andai dritta verso il divano e mi sedetti lì, al buio e al silenzio, da sola. All'inizio le lacrime vennero giù silenziose, quasi con timore di scatenare l'inferno. Serravo le braccia al petto così forte per contenere l'urlo che mi si era bloccato in gola.
Non ci riuscii.
Urlai.
Non mi sentii meglio.
Il dolore iniziò ad estendersi, le lacrime scorrevano più veloci e iniziai a singhiozzare come una neonata. Tremando, mi tolsi le scarpe e portai le gambe al petto, abbracciandole per darmi del conforto. Ma la mia stretta non faceva altro che aumentare il dolore.
Afferrai la borsa sul pavimento e presi il telefono, bagnando il display con le lacrime. Lo asciugai sulla gonna del vestito e mi strofinai la manica sugli occhi, per eliminare le lacrime.
Le mani mi tremavano ancora, ma grazie alla casella delle chiamate rapide riuscii a chiamare il numero che cercavo.
Singhiozzavo.
Segreteria telefonica, d'altronde erano passati venti minuti dalla mezzanotte.
Non provai nemmeno a controllare la mia voce, sapevo che non ci sarei riuscita "Henry..." iniziai a registrare il messaggio dopo il bip "Ti prego" ogni volta che parlavo, dovevo fare un respiro profondo perchè altrimenti mi sembrava di soffocare "Ti prego" mi circondai con la mano libera la base del collo, implorando la voce di uscire "È successa una cosa terribile" altro respiro "Vieni, ti prego" non aggiunsi nient'altro, non ce la facevo.
Probabilmente lo avrebbe ascoltato, era inutile sprecare energia per lasciare un messaggio inutile. Con la testa posata sul bracciolo del divano, rannicchiata per non tremare, mi appisolai con gli occhi pieni di lacrime.
Riaprii gli occhi che fuori era ancora buio, ero ancora immersa nel silenzio e le guance erano ancora bagnate dalle mie lacrime. A farmi riaprire gli occhi, però, era stata una mano che mi aveva scosso leggermente.
Ci volle un po' per mettere a fuoco la figura davanti a me, ma non appena scorsi i lineamenti del volto di Henry, mi raddrizzai e lo abbracciai di slancio. Le lacrime cominciarono ad riaffiorare, serrai gli occhi e strinsi Henry.
Lui mi strinse a sua volta e iniziò ad accarezzarmi la schiena "Eve" sussurrò, mettendomi una mano dietro la nuca. Tutto il mio corpo tremava, il silenzio della casa era rotto dai miei singhiozzi "Cosa è successo?"
Sapevo che dovevo tranquillizzarlo e dirgli che a me non era successo niente, ma non ce la facevo, la voce non mi usciva dalla gola. Solo singhiozzi.
Singhiozzi e lacrime.
Ad un certo punto mi staccai da lui e provai a parlargli, a dirgli qualcosa, anche solo una parola, ma non appena i miei occhi incontrarono i suoi, crollai di nuovo.
Non avrei mai dimenticato la sua espressione: preoccupata e piena del mio dolore che condivideva, anche se non sapeva quale fosse la causa. Appoggiò la schiena allo schienale del divano, poi mi mise una mano sulla spalla e mi fece stendere con la testa sulle sue gambe. Continuai a piangere come una fontana, la mano di Henry mi accarezzava la testa e mi scostava i capelli appiccicati al viso a causa del sudore e delle lacrime.
Cullata da Henry e dal ritmo regolare dei miei singhiozzi, mi addormentai.

Le sfumature della notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora