5. Anime tormentate

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Sembrava così diverso che quasi non lo riconosceva, invece era sempre lo stesso Kaz Brekker con il suo inconfondibile bastone con la testa di corvo, i suoi dannati guanti di pelle neri e i suoi capelli scuri, questa volta più scompigliati del solito.
Tuttavia nei suoi occhi c'era qualcosa di diverso, una luce mai vista prima che durò solo pochi secondi.

Inej correva sui tetti illuminati dalla luna, aveva percorso quasi metà città e finalmente era arrivata. Guardava la Stecca dall'altro del sesto piano dell'edificio accanto. Non era passato poi tanto tempo, ma quella fatiscente costruzione un po' le mancava. In fondo era la sua vecchia casa, lì aveva passato gli ultimi due anni anche se per la maggior parte del tempo stava in giro a sorvegliare la gente. Prese le misure e si preparò a un salto non troppo difficile, poi afferrò il cornicione dell'attico ed entrò dal lucernario. Sapeva dove sarebbe atterrata: nel suo studio. A quell'ora avrebbe dovuto trovarsi lì dentro, forse era uscito prima quella sera, secondo Inej.

Girò per la stanza, ammirando gli oggetti che Kaz preferiva tenere sempre sott'occhio o che voleva esibire ad eventuali visitatori non richiesti. Poi passò accanto alla scrivania che era piena di fogli, lei se lo immaginò seduto sulla sedia di legno a studiare tutte quelle carte e a escogitare un piano, tutto preso dalla ricompensa che avrebbe guadagnato.
Inej sfogliò alcuni di quei documenti anche se non ci capiva nulla, non aveva mai imparato il kerch come si deve. Poi la sua attenzione fu catturata da un foglio accartocciato appoggiato su una mensola come se fosse rilevante. Si mise in punta di piedi per prenderlo, mentre il legno sotto di lei emetteva un sottile rumore, e lo stese: era un suo bellissimo ritratto fatto a matita e firmato Hendriks. Chissà come c'è finito qui. Si rammentò che forse conosceva qualcuno con quel nome ma non sapeva chi.

Dopo un breve tour, ritornò alla scrivania, prese una busta dalla tasca e la mise lì sopra tra quelle carte. La sua spiccava in quanto all'esterno era colorata di nero.
Mentre la poggiava sentì dentro di sé un turbinio di emozioni contrastanti, era un po' indecisa ma sapeva che era il suo dovere. Lei era lo Spettro, il suo Spettro, era una compagna di viaggio, era una delle poche persone veramente importanti per Kaz.
Io posso aiutarti.
E lo aveva fatto per un po' di tempo, abbastanza per lei. Questa sarebbe stata la sua ultima missione.

A un tratto sentì dei passi e si mise in allerta, poi il caricatore di una pistola che scattò.
Qualcuno la stava aspettando.
Stava per fuggire, prima che chiunque fosse potesse vederla ma la colse di sorpresa.
La porta si aprì rapidamente e si sentì dei glaciali occhi puntati addosso insieme al proiettile. Era praticamente sul cornicione, pronta a volare fuori, quando si voltò leggermente, giusto per intravedere chi avesse spalancato la porta. Poi li vide. I suoi inconfondibili occhi.
Sentì i battiti accelerare immediatamente, prendendola alla sprovvista, le gambe tremavano, le braccia erano incerte.

Rimasero per dei lunghi secondi a guardarsi. Erano così vicini eppure così lontani, tanto simili quanto diversi. Due mondi legati dal Barile, tenuti insieme dalla sofferenza che non volevano mai dimostrare e dalla consapevolezza di sentirsi capiti, dalla voglia di aiutarsi l'un l'altra. Lui odiava il contatto umano, lei voleva fuggire da quel posto, eppure non potevano fare a meno di continuare a cercarsi, a sopportarsi, a volersi. Erano poche le persone di cui ci si poteva fidare a Ketterdam e in particolare nel Barile e loro, forse per casualità si sono incontrati e non si sono separati più.
Kaz odiava quel suo piccolo lato sentimentale che non era riuscito a uccidere, lo bloccava. In fondo anche lui lo sapeva: non avrebbero mai potuto dirsi "addio".

Entrambi erano immobili uno di fronte all'altra, lui con la pistola ancora puntata verso Inej, lei con un piede sul davanzale.
Cosa avrebbero dovuto fare? Se fossero state due persone comuni, probabilmente si sarebbero stretti in un abbraccio infinito condividendo frasi di conforto, promettendosi che non sarebbero scappati più.
Ma loro non erano come gli altri. No, lui non era come gli altri.
"Molti ragazzi ti porteranno dei fiori, ma un giorno incontrerai un ragazzo che conosce il tuo fiore preferito, la tua canzone preferita, il tuo dolce preferito. E anche se fosse troppo povero per donarti qualcosa, non sarà importante perché lui avrà il tempo di conoscerti come nessun altro. Solo quel ragazzo conquisterà il tuo cuore."
Inej non era certa che quel ragazzo esistesse e anche se fosse, non somigliava per niente a Kaz. Lui non le aveva mai regalato dei fiori, le aveva dato la libertà, una barca e un sogno. Forse avrebbe potuto essere quel ragazzo. Ad ogni modo, restava sempre un ostacolo troppo complicato da superare: il suo trauma.
Chissà se un giorno Inej sarebbe riuscita a conoscere il vecchio Kaz Rietveld.

Finalmente lui abbassò l'arma carica, con ancora le dita sul grilletto. Lei si rivolse verso la scrivania e anche Kaz notò la busta nera, non aveva un buon presentimento.
Dopo un mese, benché avessero tante cose da dirsi, nessuno parlò, i loro occhi lo fecero abbastanza. Il silenzio era interrotto soltanto da rumori di sottofondo proveniente dalle vie del Barile.
- Inej. - fu solo questo ciò che uscì dalle labbra di Manisporche.
Lei tentò di sostenere il suo sguardo ma non ci riusciva. I suoi meravigliosi occhi castani iniziarono a lacrimare, forse non era così forte come pensava. Si voltò a guardare il mare da lassù per l'ultima volta.
Non aveva intenzione di mostrare le sue dobolezze, nemmeno a Kaz Brekker. Soprattutto a Kaz Brekker. Fece un respiro profondo, raccolse il coraggio rimasto e senza dire nulla sparì nell'oscurità della notte, come uno spettro.

Fu quella una delle uniche volte che Manisporche rimase impalato come un idiota a fissare il nulla. Inerme. Incapace di reagire. Lì come un pollo che si fa ingannare troppo facilmente.
Andò alla finestra e si affacciò ma non vide nulla, così la richiuse. Cercò di controllarsi il più possibile, di mostrare un goccio di decenza ma sganciò un inaspettato urlo contro tutto.
Essere Kaz Brekker era eccitante. A volte si sentiva davvero il re, la gente ti teme anche se non ti conosce, ti rispetta e non mette in discussione la tua autorità.
Poter manipolare le menti delle persone, ingannarle, approfittarsene. Nessuno avrebbe attaccato Manisporche senza esserne consapevole delle conseguenze. Essere a capo di una famosa banda di criminali molto talentuosi, conoscere i segreti di tutti, organizzare scambi illegali. Gli era sempre piaciuto tutto questo.
Essere Kaz Brekker era straziante. Altre volte, poche, si ricordava alcune delle sue terribili azioni, delle sue colpe. La gente fuggiva alla sua vista, nessuno voleva avere a che fare con Manisporche. La solitudine lo travolgeva. Lo annegava. Lui la cacciava via, poi arrivava la paura. Lui cacciava via pure quella, ma non se ne andava. Non era invincibile, non lo capiva. Si sentiva molto potente, troppo arrogante, ma era solo un ragazzino solo.

Il suo spaventoso grido risuonò per tutta l'abitazione. Non si era mai sentito così impotente. No, forse una volta si, mentre tentava di attraversare la Chiatta del Mietitore dimostrando di essere ancora vivo. Beh, certo che lo era ma solo fisicamente, Kaz Rietveld era già annegato.
Si fermò a osservare quella busta nera senza pensare di aprirla, non ne aveva il coraggio. Sapeva cosa c'era scritto, era ovvio che sarebbe accaduto, però non voleva accettarlo.
La prese e la mise sulla mensola dove si trovava il ritratto accartocciato il quale trovò aperto e poggiato lì sopra sul bordo. L'ha visto. Poi sentì il suo nome invadere le scale dal piano inferiore e si diresse all'entrata.

- Ti cercano. - disse Specht indicando un ragazzo abbastanza alto con i capelli neri.
Kaz notò immediatamente i suoi vestiti eleganti e il suo aspetto curato. Aveva un atteggiamento troppo disinvolto per conoscere chi avesse di fronte, probabilmente non era di quelle parti. Poi qualcosa risaltò all'occhio: indossava un pullover con un simbolo che aveva già visto, era quello studente di cui gli aveva parlato Jesper.

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