Capitolo 36

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Hinata

Lui, indossava uno smoking con un papillon nero mentre io, lo avevo bianco nonostante Zenki insistette per farmi scegliere il primo colore, avevo anche un fiore nel taschino in alto a destra.
Vedere la felicità del coach mi sciolse il cuore, anche se prima di entrare in chiesa riflettei a lungo.
"Posso entrare in un luogo come questo senza sentirmi sbagliato?" nonostante l'avessi capito ormai da tempo, era ancora difficile fare i conti con il mio orientamento.
Poi vidi lui che entrò con una nonchalance tale da indurmi a seguirlo, come se il mondo attorno fosse solo una visione secondaria di cui non si preoccupava affatto.
Era molto attento a non dare nell'occhio ma sfortuna volle che, i suoi occhi, per tutta la messa e ciò che venne dopo, non si staccarono mai completamente dai miei.
Scontrarmi con gli sguardi degli altri mi provocava disagio, i suoi invece, erano tutt'altra cosa.
Il rapporto che c'era tra di noi non era semplice desiderio o un legame scalfito e aumentato dalle nostre sensazioni, bensì era anche un'unione di complicità, silenzi compresi, desideri sporchi e proibiti ma eccitanti, e respiri spezzati, ingoiati o trattenuti. Questo eravamo noi.
Non una coppia, né semplici sconosciuti.
Eravamo semplicemente un noi.
Complicati e travagliati, folli e inconsciamente stupidi, il nostro 'noi' però ci piaceva, per quanto doloroso fosse.

***

"Wow questa villa è bellissima!" esordì Zenki guardandosi attorno mentre guardava il giardino del ristorante, nel frattempo cercai il nostro tavolo e dovetti ammettere con poca sorpresa che quel luogo era veramente fantastico.
Infatti non mi sarei aspettato nient'altro da una villa come quella. Sperai solo di non avere lo stesso tavolo con lui, gli sguardi fugaci che ci eravamo scambiati erano già abbastanza.
Lessi il bigliettino legato delicatamente con un nastrino bianco.
"Tavolo 17: Miyamura Zenki, Sugawara Koshi, Kageyama Tobio, Hinata Shoyo, Sawamura Daichi...Cazzo! E sbuffai sonoramente.
La fortuna mi voleva proprio bene, tanto.
No. Non sarei rimasto al suo stesso tavolo, non ci pensavo nemmeno.
Ci sarebbe stata indubbiamente una tensione assurda tra tutti e quattro, in fondo nessuno aveva più parlato o chiarito con lui e pensai che lo vedessero ancora come "il cattivo" della situazione, anche se con il passare del tempo smisi di credere completamente a tutte le parole che mi disse la sera in cui mi lasciò.
"Sei a un matrimonio, cerca di non dare problemi. Non rovinare tutto" mi ripetevo, però era complicato gestire una situazione come quella, pensai anche al povero Zenki che sarebbe stato a disagio mentre ci lanciavamo sguardi sprezzanti e pieni d'odio. Già mi faceva male la testa.
Per grazia di Dio, andò tutto liscio poiché i nostri occhi e le nostre menti erano impegnate a seguire i continui discorsi dei parenti di Kina o del coach su come si fossero conosciuti, iniziò il coach.

"Ho incontrato Kina 2 anni fa...Ero in ritardo a lavoro e per sbaglio mi scontrai con lei rovesciandole il caffè sulla camicetta di seta, ammetto che quel gesto lo pagai caro -disse come se volesse far intendere che non si era salvato affatto e qualcuno rise- rimasi incantato dalla sua bellezza. Non era truccata, aveva una coda di cavallo e una maglietta di Wong Shizu. Quel giorno saltai il lavoro e se potessi tornare indietro nel tempo rovescerei quel caffè altre mille volte. Perché ora sono qui, sposato con questa formidabile donna, a dirle quanto la amo e quanto adoro il vostro supporto da parte di tutti voi, a me e a Kina! Un brindisi per noi!"
Il coach non era mai stato un tipo dolce, riuscii a percepire l'emozione, la commozione e la felicità nel fare quel discorso e anche se non disse nulla di così strabiliante, mi toccò il cuore facendomi commuovere.
Poi, arrivò il tipico momento che la maggior parte degli invitati stavano aspettando.
I tavoli erano posizionati fuori e la cena si svolse in giardino, grande e maestoso quanto fantastico e ben preparato, avevano anche montato una pista da ballo piuttosto estesa.
"Buonasera a tutti!" iniziò il responsabile delle canzoni e degli strumenti assieme al cantante, sprigionavano un'energia tale da farmi venire voglia di ballare.
Tutti si diressero in pista, Zenki provò tante di quelle volte a convincermi che alla fine si stancò e mi lasciò da solo al tavolo, con lui.
"Shoyo. Vorrei parlarti." La sua voce baritonale fu così profonda da risvegliare desideri che avevo nascosto nei meandri della mia perversione, non c'era niente da fare, mi faceva sempre provare qualcosa, che lo volessi o no, con un semplice gesto o movimento.
"Di cosa?" risposi iniziando ad agitarmi, ma forse già avevo intuito qualcosa.
"Ti devo delle scuse, e anche delle spiegazioni."
"Ma non mi dire"
Mi spiegò tutto. Mi disse tutta la verità nascosta. Del perché avesse agito così, perché non mi richiamò etc. Quasi piansi. Piansi perché finalmente avevo la certezza che tutto ciò che mi disse per lasciarmi erano solo stronzate, l'aveva fatto con mesi di ritardo, ma comunque l'aveva fatto.
Una fitta mi colpì il cuore.
Anche se ora ricevetti tutte le conferme necessarie, il dolore causato da lui non si smaterializzava così facilmente.
Avevo ancora segni psicologici del dolore che mi aveva causato impressi addosso, il ricordo vago del suo profumo che avrei comunque riconosciuto e le lacrime che cacciai a non finire, perché mi ero innamorato, davvero.
L'amore non fa soffrire, eppure è successo.
"Fidati di me. Dammi un'altra occasione." Disse serio, come se ci credesse davvero, sapeva perfettamente che gliene avevo date mille e ogni volta avveniva sempre la stessa cosa.
"Non voglio più soffrire, puoi promettermelo?" gli chiesi con stanchezza, mi aveva ridotto il cuore in brandelli, non mi sarei più ripreso se mi avesse distrutto di nuovo.
"Vieni con me" rispose porgendomi la mano, non capii se voleva che fraintendessi o se c'era qualcosa di serio sotto. Non mi fidavo, era di lui che stavamo parlando in fondo. Non riuscivo mai a resistergli o dirgli di no, era una calamita fisica e psicologica talmente forte da farmi rimpiangere di avere pensieri così sconci su di lui.
Mi prese la mano e la strinse, sentii qualcosa nei pantaloni ma ignorai tutto e cercai di capire dove mi stesse portando, era diretto alla pista. Piantai i piedi per terra prima che la raggiungessimo ed esclamai un "NO!" categorico. Non avrei mai ballato, non con lui e non davanti a tutti.
Era impazzito. Partì la canzone "Don't Worry" e mi sorrise. Forse avevo capito solo le sue intenzioni inziali, poiché iniziò a ballare.
Sì. Kageyama Tobio che cantava mentre ballava: 
"I'll take you to the future, forget about the past, you can keep all of your secrets, I swear that I won't ask" disse e mi indicò.
Tutti si girarono a guardarlo e io rimasi incantato da tale visione.
Fece un gesto per convincermi a raggiungerlo in pista, il cuore mi batteva forte, la canzone era così invitante...
"Let go of all your troubles, I don't care where you've been, the only thing that matters now is where the night will end" risposi cantando anch'io il proseguimento della canzone e mimai le parole con i gesti, la conoscevamo.
Mossi i piedi a destra e sinistra con le mani che vagavano goffamente libere per il mio corpo, in alto, poi in basso, gesticolavo in modo buffo sperando di non essere ridicolo perché non sapevo ballare, figuriamoci risultare sensuale o eccitante ai suoi occhi. Arrivò il ritornello e si avvicinò a me con intenzioni che non capii, non m'importava conoscerle, era come se in quella pista ci fossimo solo io, lui, e la musica.

𝐈𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐦𝐢 𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞🕊 |𝐤𝐚𝐠𝐞𝐡𝐢𝐧𝐚|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora