Capitolo 2

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Hinata

"Buongiorno! Oggi test a sorpresa sui proverbi per vedere se li state studiando con frequenza."
Mi cascarono letteralmente le braccia. Ero desolato, odiavo quegli stupidi stupidi stupidissimi proverbi e non ne capivo manco il senso.
"Kageyama mettiti vicino a Hinata, Iwazuni tu invece spostati vicino a Wishima"
Perfetto. In quel periodo odiavo il solo passare di fronte a Kageyama, già era tanto sopportarlo al club, ma averlo come compagno di banco nei corsi che avevamo in comune mi faceva esaurire.
"Non ti suggerirò niente, mi auguro che tu abbia studiato" disse con una notevole dose di acidità.
"Tranquillo preferirei fare cento ricezioni piuttosto che farmi suggerire da te." risposi con tono di superiorità.

*

"Hinata, due. Così non va assolutamente bene. Mi dispiace ma se non raggiungi la sufficienza non posso mandarti a Shangai con il club di pallavolo." Questa. Non. Ci. Voleva.
"Ti pareva che uno come te non prendesse un voto così basso!" disse Tobio quasi come se fosse soddisfatto della sua cattiveria. Patetico.
"E taci un po' ogni tanto!!" sbuffai.
"Non bisogna mai ridere delle disgrazie altrui Kageyama! Oggi pomeriggio resterai qui ad aiutare Hinata a recuperare, così vediamo se fai di nuovo lo spiritoso."
Da un lato stavo letteralmente godendo, dall'altro volevo volatilizzarmi. Mi trucidò con lo sguardo, sprizzava veleno ovunque, ma onestamente non era colpa mia se non chiudeva mai la bocca.

Mi ricordo perfettamente, che c'era un proverbio nella scheda che il prof mi diede, diceva: "Il corpo della libellula è esile, ma attraversa ballando la tempesta."
Maledetto proverbio. L'unico che capii e che mi rappresentava pienamente. Mi rappresentava perché ero un tappo, magro e senza muscoli, che saltava più in alto di tutti, che veniva sottovalutato sempre, sminuito da persone che credeva amici, perché mi veniva continuamente detto che ero sprecato, ma nessuno sapeva niente.
Eppure quante tempeste avevo attraversato, quante volte fingevo sorrisi davanti a tutti? Ero bravissimo nel nascondere la mia tristezza. Una persona svampita, allegra e chiacchierona come me dà subito nell'occhio quando non parla, avrei dovuto imparare a tacere molte volte.
Senza accorgermene una lacrima rigò il mio viso, in quel momento provavo un mix di emozioni: rabbia, incomprensione, frustrazione.
Senza Kageyama non ero nessuno ed era per questo che mi stavo allenando con il vecchio coach Ukai. Io volevo volare.
Volevo imparare a lottare e a combattere in aria. Volevo essere il piccolo gigante.
Ma lui molte volte, non esitava nel ricordarmi che non ero nessuno senza le sue alzate.
"Ma stai piangendo?" chiese Kageyama dopo la quinta volta che mi spronava a rispondere a quelle stupide domande.
"Non è niente. Ora mi passa."
"Che hai?" chiese spostandomi una ciocca per guardarmi negli occhi. Kageyama Tobio che mi chiede come sto? Doveva essersi drogato, nah mi stava prendendo in giro, non sarei caduto facilmente nella sua trappola.
"Ho detto niente. Per favore aiutami con queste domande così ce ne possiamo andare." era la prima volta in tutta la mia vita che quasi lo imploravo.
"No, il concetto è che ci devi arrivare da solo. Non ha senso se le faccio io."
"Giuro che le studio più tardi però per favore ora voglio andarmene!"
"E smettila! Sembri un bambino." Incrociai il suo sguardo, era pomeriggio e il sole era ancora visibile, un raggio di luce illuminò il suo volto e solo in quel momento riuscii a notare alcuni particolari di Kageyama.
Una piccola cicatrice visibile appena sotto il sopracciglio e due pietre nere, occhi neri, come i suoi capelli corvini lucenti. Occhi che emanavano durezza, acidità, ma in quel momento anche comprensione e compassione, non ne ero sicuro però.
"Dimmi che hai, sto iniziando a perdere la pazienza" non si scomponeva un attimo.
"Non ti ho chiesto di averla, non mi vuoi aiutare? Ok consegno il foglio in bianco, tanto ho tutto il tempo del mondo per recuperare." Risposi con lo sguardo basso, in momenti come quello, a guardarlo, mi rendevo conto che era fottutamente alto.
Presi lo zaino ma non feci in tempo a fare un altro passo che urtai contro il suo petto. Non mi stava nemmeno guardando.
"Non sono portato per avere amici, però mi sembra che in questi casi si dica 'sfogati' , e poi non puoi partecipare alle qualifiche così quindi parla." Non sapevo se essere infuriato dal fatto che non mi lasciasse andare o sorpreso dal fatto che mi avesse chiesto come mai stessi così.
"Wow, che sforzo. E comunque perché tutto a un tratto ti interessa cosa mi passa per la testa?"
"Non mi interessa, te l'ho detto. Non puoi allenarti né fare partite in questo stato, sei penoso" odiavo la sua sincera schiettezza, ma almeno non illudeva nessuno.
"Capito. Uhm vedi, non è facile essere uno sfigato come me, fine della storia. Ora ciao." inutile dire che mi trattenne anche quella volta.
"Pensi di essere uno sfigato? Va bene, in parte hai ragione ma qualunque sfigato sa saltare circa 334 cm?" ed ecco un altro esempio della sua spietata sincerità.
"Hai ragione, possiamo andare ora?" Non ce la facevo più a stare là dentro.
Stava per rispondere quando entrambi sentimmo una voce:
"Tobiucciooo, amoreee, ti ho cercato dappertutto!! Anche tu sei rimasto a scuola?" Il soprannome che usò la ragazza per un attimo, mi fece ridere. Aveva i capelli castani e un viso candido, statura media e dal fisico scolpito (indossava una tuta atletica.)
Poi realizzai.
A-amore? Kageyama era fidanzato? Non era il momento di pensarci su, l'avrei fatto dopo. Lui parve infastidito dalla sua interruzione, ma lei non ci fece tanto caso.
"Sì, ti raggiungo più tardi" disse annoiato accennando uno sguardo nella sua direzione.
"Ma come? Non avete ancora finito? Va bene dai ti aspetto, vado a cambiarmi" era ancora più infastidito.
"Nono, abbiamo finito tranquilla, ce ne stavamo andando. Piacere io sono-"
"Hinata Shoyo!! Siii andiamo chi non ti conosce?!"
Come biasimarla, la nostra manager aveva appeso in tutta la scuola dei poster che rappresentavano me nel tentativo di schiacciare un'alzata di Kageyama, poi ero un ragazzo dai capelli rosso pomodoro che spiccavano tra la folla, ma anche se non volevo vantarmi, fui felice della sua affermazione. Sorrisi e uscii dall'aula mentre sentii Kageyama dire "Arrivi sempre al momento sbagliato!" ma non ne fui sicuro.

Era arrivata la "resa dei conti", stavo continuando a scappare dai miei pensieri che pian piano mi divoravano vivo. Perché Kageyama riusciva a farmi così male? Perché c'erano dei momenti in cui riuscivamo ad andare d'accordo e sembravamo angeli e altri in cui eravamo dei diavoli? Perché aveva tutto questo potere su di me? Mi tornarono in mente le gare fatte insieme, la competizione che c'era tra di noi, il suo bellissimo sorriso quando faceva un'alzata perfetta... 'NO!' pensai subito.
'Io non posso pensare a Kageyama in quel modo. Assolutamente no.'
Il solo pensiero di trovare Kageyama affascinante e attraente mi faceva stare male.
'È solo perché lo ammiro.' conclusi sospirando. Sarebbe stato un bel guaio se fossi stato gay.
Mio padre era ed è omofobo, il solo pensiero di essere ripudiato da lui mi fece venire la pelle d'oca e il voltastomaco. Scacciai via quei pensieri dalla mia mente e tremolante dal freddo raggiunsi la mia bici, che aveva una ruota bucata, di nuovo.
"Che palle!" sbuffai, quando due ombre, alte ma non troppo possenti, iniziarono ad avvicinarsi sempre di più alle mie spalle.
"Daichi! Asahi!! Mi avete fatto prendere un colpo!" tirai un sospiro di sollievo quando mi sorrisero.
"Di nuovo quelli del primo anno? Ma si può sapere cosa vogliono?" chiese Asahi vedendo la mia ruota bucata.
"Non c'è tanto da dire, semplicemente sono gelosi di Hinata." rispose Daichi.
"Se non la smettono dobbiamo avvertire il coach però" rispose Asahi.
"Non preoccuparti, la scorsa volta ho messo delle videocamere, vedrai come li sgriderò domani!" un sorriso a trentadue denti spuntò sul viso di Daichi, era terrificante.
Asahi, Suga e Daichi si erano diplomati l'anno precedente, ma continuarono a giocare per il punteggio sportivo ottenuto, però questa è una cosa che spiegherò più in là.
Mi limitai ad assistere alla conversazione e chiesi loro un passaggio, era la prima volta che non volevo andare a casa a piedi, forse anche perché lui non c'era a competere con me.
'NO! SMETTILA!' urlai nella mia mente, dovevo smetterla di pensarci.

𝐈𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐦𝐢 𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞🕊 |𝐤𝐚𝐠𝐞𝐡𝐢𝐧𝐚|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora