Pensiero 42 19:30 20/03/2021

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Beh, è successo di nuovo. Il pensiero del suicidio. Mentre seguivo una lezione di diritto. Questa volta mi immaginavo fuori, sul balcone con tanto di revolver grosso calibro color bianco e con l'impugnatura nera come la morte. Un colpo sulla tempia sinistra e la mia testa che esplode con questo buco enorme e tutti i pensieri escono fuori, volano in alto, sempre più in alto senza disturbi. Senza limitazioni del corpo e della mente stessa, e si dissolvono nell'aria dei secoli. Così, tanto per perdere tempo. Anche un colpo in fronte, sempre con me sul balcone, un bel ak-47 direttamente dalla campagna difronte. Il pensiero del suicidio è una delle poche cose che mi salva dalla piattezza dei giorni. Lo farei diventare realtà se non comportasse un punto di non ritorno. Ho questi 2 lati di me: uno vuole continuare a vivere e l'altro invece si sparerebbe un colpo sulla tempia anche adesso, sbatterebbe la testa contro il tavolo come se nulla fosse e non per altro, non è raro che certe volte qualcuno mi senta dire “quanto vorrei sbattere la testa sul tavolo” e certe volte lo faccio, ma sui libri. Ovvio, all'inizio erano spaventati, poi ingannati o forse non proprio ingannati dalla follia, si fanno scorrere questo mio pensiero e vanno avanti, magari con una risata e rispondo anche io con una risata. Voglio vivere e morire al contempo. Brutta storia, vorrebbe dire che non sto vivendo e sto morendo e che sto vivendo e non sto morendo al tempo stesso. Confusione sarebbe il termine giusto da usare con me? Bipolarismo? Naaah. Mi trovo molto bene così come sono, non saprei che farmene di psichiatri, psicologici, neurologi e tutti quelli che cercano di studiare il cervello e come esso si abitua ai mali del mondo. Potrei strapparmi uno dei pochi peli che ho in testa, questo farebbe di me un matto? No, però proverei dolore. E allora perché dovrei essere matto riguardo al pensiero del suicidio? È una cosa così indolore, se fatta bene. E attenzione, io non parlo del vero suicidio. Un vero suicida ci prova una volta e non ci prova più, e non ha bisogno di un piano, di un pensiero da dedicare. Insomma, qui sto parlando del mio personalissimo pensiero del suicidio, da “senza palle” metaforiche si potrebbe dire. Non voglio prettamente crepare, più lontano sto dalla morte e meglio mi sento ma so benissimo che c'è qualcosa nel mio cervello che vorrebbe attirarla, una sorta di masochismo, di piacere nel trovarsi a un passo dal bacio feroce della Signora Morte che mi lascerebbe il rossetto rosso sangue sulle mie labbra cianotiche. E uscirne vivo, sopravvissuto, contro tutte le avversità e dei. Ho sempre cercato di limitare la mia mente comunque, ognuno sa i propri peccati e le proprie manie e dovrebbe limitarsi come faccio io. Ma non presto particolare attenzione a come si gestiscono gli altri in questo momento. Il fatto è che penso molto perché voglio agire bene, faccio il possibile per trovarmi nel giusto, ma quando l'altra parte non riconosce il giusto, posso spaccarmi quanto voglio, potrei avere ragione quanto potrei avere torto. Ho sempre cercato qualcosa che mi limitasse, mi facesse smettere di pensare per un po', non come adesso che vado a ruota libera lasciando passi sulle dune del deserto come parole che verranno insabbiate da qualcuno più bravo di me nel futuro fino a essere io stesso la sabbia fredda nei buchi di culo della storia del pianeta Terra, nelle sue viscere. Pensavo “cazzo, l'amore potrebbe limitarmi”, potrebbe calmarmi dal pensiero continuo del suicidio, delle paranoie, delle follie nella testa. È così è stato per un breve periodo, ha dato conferma di quanto pensassi. C'era qualcosa che riusciva a calmarmi, a perdere concetrazione nell'attività del pensiero, della ragione e trasferivo tutte le mie energie in questa donna. Come sia finita o come stia finendo è meglio lasciar perdere. Penso si capisca da sé. Comunque riuscivo a concentrare la mia attenzione su di lei distogliendo i miei demoni, non pensando al fatto che abbia avuto un cancro da quarto stadio e non sapendo per chi o per cosa sia ancora qui e soprattutto qui ora a scrivere, a blaterare parole per un possibile lettore (probabilmente me stesso dopo aver finito). In questa stanza fa un gran freddo, tossisco, le mani sono fredde ma i polpastrelli delle poche dita che uso sono calde e pronte a sparare il prossimo colpo, lì, in alto, sempre più alto, senza guardare indietro. Prendi, spaccati un uovo in fronte, vai avanti, prendi, spaccati un muro in fronte, vai avanti. Continuare, camminare, marciare! Verso dove non si sa, si vaga dispersi in un mare di schiaffi e maldicerie. Una bella danza macabra con i morti, tutti ossa, tutti putridi del fetore della decomposizione, come ci finiremo noi! Mangiati dai nostri stessi batteri. Ridotti a ossa, finiti a marcire al fresco in qualche ossario insieme a tanti altri teschi. Almeno i mafiosi i morti li mettevano nei piloni di cemento, avevano una funzione. È quando sbatto in faccia il non-sense che si pensa che davvero sia un matto, e non un genio. Ma non fa niente, avanti! Prossima parola! Aaah il colpo di revolver, spero che nessun serial killer alla John Lennon decida di farmi fuori. Tieniti il colpo in canna per Dio o un nuovo Hitler, non me. Bene, ho esaurito le parole ma non i pensieri e nel frattempo penso, penso, penso. Credo che nessuno ci faccia caso al fatto che molte volte nelle poesia ripeta sempre 3 volte una parola, molto semplice: è il mio eco, la mia ombra e me. Ma vabbè, non morirà nessuno per questo. Non oggi.

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