Bacio al sapore di sangue

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Ogni mattina, quando mi alzo dal letto e mi guardo allo specchio, mi osservo sempre con grande attenzione. Non tanto per vanità, quanto perché amo notare i cambiamenti fisici che comporta il fatto di essere tanto legata al Signore Oscuro.
Osservo queste cose con attenzione quasi analitica, ogni cambiamento mi fa sentire forte, viva, mi fa sentire sua.
Noto le occhiaie sempre più profonde e visibili. Sfioro la pelle sotto agli occhi e rifletto: dovrei usare una gran quantità di trucco per coprirle, ma non mi va di coprirle, perciò le lascio intravedere fra i capelli sciolti e liberi di muoversi al vento.
Quell'aria sciupata e strapazzata che ho assunto ultimamente resta e aumenta ogni giorno di più.
Mi piace proprio tanto guardarmi allo specchio e vedermi così.
Stavolta non è per colpa degli stenti patiti in prigione, stavolta è lui che non si riposa mai e che mi trasforma così tanto.
Quasi ogni notte, quando le tenebre si fanno estremamente fitte e la profondità del buio è massima, in quel momento magico, posso unirmi finalmente al mio Signore.
Ogni notte, anziché dormire, il tempo passa così, a godere incessantemente di lui e con lui.
Guardandomi allo specchio scopro ogni giorno nuovi morsi sul collo, sulle spalle, sul seno, i lividi si estendono piuttosto visibili, mi piacciono anche quelli.
Quando la mattina mi infilo il vestito, stretto sulla scollatura, sento male ai capezzoli, perché lui li succhia sempre, continuamente e tremendamente forte tanto da sentir male tutto il giorno seguente.
Mi guardo allo specchio e noto anche che occhi sognanti ho, innamorati di lui, appassionati, vivi, mi viene da ridere, da ridere di una risata forte, felice.
Da quanto tempo aspettavo questo momento?
Quanto ho desiderato che tornassimo insieme?
Non ho quasi più memoria degli anni persi in attesa di lui. Un tempo di dolori e tragedie, pianti e disperazione, non vedevo più un futuro davanti a me e stavo male. Comunque non ho mai ceduto, ho sofferto l'inferno e l'umiliazione senza mai cedere completamente, ho combattuto fino allo stremo e alla fine, come immaginavo, tutto ciò è stato premiato e adesso finalmente mi godo la mia felicità.
Baci, morsi, graffi, notti insonni, seno dolorate: tutto quello che ho sempre desiderato. È ciò che ho voluto e sognato da sempre. Ogni notte è diversa, più implacabile, più sfrenata, più appassionata.
Ogni notte poi resto sola, nel mio letto, stanca e felice, anche se lui non resta accanto a me e spesso mi lascia dopo poco.
Quando sono sola ugualmente il tempo passa nella calma e nella tranquillità: lo sento comunque accanto a me, lo sento nel profumo che lascia sul mio corpo, sul cuscino dove mi addormento sognando di lui, le sento nelle lenzuola sgualcite e nella carne dolorante. Penso a lui ogni volta che, girandomi nel letto, sento i muscoli indolenziti delle cosce, devastati dal ritmo delle spinte l'uno dentro l'altra.
Lo sento nella leggerezza che mi pervade dopo che abbiamo fatto l'amore.
Lo sento nel bruciore della mia vagina a seguito di un amplesso che diventa sempre più intenso e sfrenato, che gode di un'intesa ritrovata e man mano sempre più profonda e violenta.
Sorrido tra me.
Mi piace pensare tutte quelle cose, vivere quell'amore anche se lui non è fisicamente sempre accanto a me.
Questa notte fa talmente caldo che non riesco a dormire, non faccio che pensare e ricordare mille cose di lui e di noi.
Mi giro e rigiro nel letto, l'afa di questi giorni è pesante, i capelli mi si attorcigliano al collo appiccicosi per via del sudore, ma non amo raccoglierli, per cui li lascio lì, come vogliono stare, mescolati al suo odore sul cuscino.
Solo verso tarda notte mi decido ad alzarmi e aprire le finestre, lascio entrare il vento più fresco. Il sudore scompare velocemente, il buio e il silenzio sono totali, respiro e mi godo quell'oscuro momento di pace.
Penso che la casa dovrà essere deserta a quell'ora, decido così di scendere a prendere un bicchier d'acqua, a godermi il fresco della notte, sulla terrazza, a sentire il profumo delle piante, degli alberi e della terra. È bello per me poter fare queste semplici cose, dopo tutti quegli anni rinchiusa.
Prendo l'acqua e ci lascio cadere un paio di cubetti di ghiaccio, esco dunque sulla grande terrazza che dà sul giardino anteriore della casa.
All'aria tiepida si sta meglio, sospiro, scuoto i capelli che si liberano al vento leggero della notte. Sorseggio la mia acqua e penso che già mi manca il mio Signore, anche se è soltanto da questa notte che non lo vedo.
Ammiro il mio Marchio nero sul braccio, di un nero sempre più intenso e brillante e sorrido.
Vederlo così scuro e vivo mi rassicura, mi fa sentire che lui è vicino a me. È difficile cancellare i terribili ricordi di quando il Marchio era sbiadito, rovinato, ma lentamente le paure stavano lasciando posto alla sicurezza e alla felicità di averlo di nuovo vivo accanto a me.
Non mi importava di tutti i suoi malumori, le sue esplosioni di rabbia. Vedevo bene come il suo carattere, da sempre molto scostante e cupo, fosse notevolmente peggiorato dopo quel periodo così duro e tragico.
Era diventato insofferente, distaccato, ancora più instabile di quanto non fosse prima; però era vivo, era accanto a me, tutto era ripreso tra noi e io mi sentivo tranquilla.
Finisco di bere e finalmente percepisco il fresco del ghiaccio, dell'acqua ghiacciata sulle labbra, cammino sul terrazzo assaporando la notte scura, sento un fruscio di vento, prima debole, poi sempre più insistente.
Chiudo gli occhi, mi lascio accarezzare lungamente, man mano sempre più insistentemente.
Allora lo riconosco, posso quasi sentire il suo tocco sulla mia pelle: non è solo il vento, è lui. Lo percepisco coi miei sensi, prima davanti a me, poi più vicino, sempre più vicino, fino ad arrivare accanto ai miei occhi.
Li apro lentamente e sorrido.
Lui mi sta di fronte, in tutta la sua altezza e magnificenza, il cuore riprendere a battere forte, il caldo che ormai non sentivo più mi sale immediatamente alle guance.
"Mio Signore, siete venuto?"
Mi guarda silenziosamente, piega la testa di lato e continua ad osservarmi come un bambino curioso, poi abbandona i suoi pensieri privati e accenna ad un discorso.
"Cosa volevi da me, Bella?"
Come uno spirito, un demone che sa sempre tutto di me, che sta sempre nella mia mente e che sa e sonda ogni mio desiderio e ogni mio pensiero, in quel momento sapeva che lo desideravo e lo volevo.
"Solo vedervi, mio Signore, mi mancavate molto."
Mi sorride, con quello sguardo supponente, con quel suo modo che sembra farsi beffe di me, anziché sorridermi davvero.
Mi tocca i capelli, sfiora lentamente la ciocca accanto al viso, facendola ricadere davanti agli occhi.
Io continuo a guardarlo incantata, non dico una parola, resto in attesa delle sue.
"Voglio che tu faccia una cosa per me."
Annuisco lentamente, resto in attesa dei suoi ordini,
"Devi dirmi cos'è la bacchetta di Sambuco."
Restiamo per un attimo a guardarci in silenzio, cerco di capire cosa possa voler conoscere di un argomento così banale.
Lui però si limita a cambiare lato del viso e continua a sfiorare i capelli, lasciando lentamente cadere anche quelli davanti agli occhi.
"Voglio sapere ciò che sai di quest'oggetto, cose precise e sicure, non dicerie."
Distoglie per un attimo lo sguardo dai miei occhi. Io invece lo osservo attenta, dietro ai capelli che mi ha scostato sul viso, cerco di comprendere cosa possa davvero interessargli.
"Non è esattamente una diceria, mio Signore, è una leggenda magica, conosciuta bene nelle famiglie di maghi."
Faccio una piccola pausa, forse con atteggiamento fin troppo pignolo, troppo altezzoso, ma non lo faccio certo di proposito, mi viene naturale.
"La bacchetta creata col sambuco è una bacchetta molto potente, anzi, assolutamente invincibile, dono creato dalla morte stessa e destinato solo a coloro che la possono sconfiggere."
Faccio una pausa, scosto leggermente i capelli dal viso e continuò a guardarlo.
"Destinata a maghi potenti, in grado di non temere la morte."
Finito di parlare ripenso alle mie parole dette, forse, troppo precipitosamente, mi pento quasi subito, mi mordo le labbra.
Perché ho evidenziato quanto questa leggenda sia ben conosciuta nelle famiglie di maghi?
Se per me è famosa perché sono cresciuta fra i maghi, non è detto che lo sia anche per lui che non è cresciuto fra noi.
L'ho umiliato senza nemmeno accorgermene, ma non era mia intenzione, ciò che faccio normalmente con tutti, per lui non vale.
Se solo lui sapesse quanto mi attrae anche per questo, perché è così diverso da me, se sapesse quanto mi sia sempre piaciuto anche per questo particolare. Ha quel fascino estraneo e diverso che emana ogni singolo momento, quel modo di essere così personale e speciale, anche se lo vuole nascondere e se ne vergogna. Quello non è il fascino di un mago puro, ma è il suo fascino e io lo amo in tutto.
Vorrei poterglielo dire proprio ora, che mi guarda con quegli occhi funesti.
Nemmeno io capisco questa cosa di me, eppure è tanto chiara e palese da farmi male.
Cala un silenzio lungo e sfibrante tra noi.
Ammirazione, attrazione, odio, invidia. Sento tutto questo e molto di più, lo leggo nei suoi occhi rossi come i rubini. Lo bacerei ora, solo io so quanto lo voglio, quanto mi piace.
Lui non accenna minimamente ai suoi sentimenti, non parla assolutamente di ciò che invece dai suoi occhi sembra dirompente, continua a parlare della bacchetta di sambuco.
"Cerca delle informazioni anche tu, il più presto che puoi, è una questione importante."
Vedo che distoglie il suo sguardo dal mio.
"Va bene, mio Signore, come volete."
Rimango incerta su come continuare, è lui che mi precede, mi parla guardando altrove.
"Com'è andata l'eliminazione dei traditori? Di Karkaroff, se non sbaglio."
Cerco di catturare i suoi occhi, ma è distante, le sue frasi ora sono solo parole di circostanza.
"Egregiamente, mio Signore."
Vado avanti, prendo tempo, cerco di recuperare il danno fatto poco prima.
"L'ho ucciso e mi sono impossessata della sua energia magica, ha sofferto, l'ho fatto pentire del tradimento."
Provo a cercare il suo sguardo, la sua approvazione. Il vento di nuovo mi sferza la pelle nuda, con la sola sottoveste su quel terrazzo in piena notte inizio a sentire leggermente freddo.
"Brava."
Risponde solo con quella laconica parola, detta sempre distrattamente. Mi fa arrabbiare.
Mi fa arrabbiare sempre, mi torna in mente come mi ha fatto infuriare l'avermi esclusa da un'altra missione, ben più importante.
"Perché, mio Signore, non mi avete fatta partecipare anche alla missione per uccidere Silente? Sapevate che lo avrei fatto meglio di chiunque."
A quelle parole torna a guardarmi.
"Ti rode che non ti abbia fatta partecipare, vero? Ti sei proprio arrabbiata molto. La vuoi sempre vinta tu, sei sempre viziata, ogni tuo desiderio è da considerarsi un ordine, vero Bella?"
Sorride, mi osserva di nuovo con i suoi occhi torturatori le sue labbra le piega in un ghigno felice e soddisfatto.
"Eppure lo sai che con me non funziona così. Dovresti saperlo ormai molto bene."
Non oso rispondere, sento un forte tono di rabbia nella sua voce.
"Non ti ho fatta andare perché mi servivi qui, ti preferivo al mio servizio. Non ti sei divertita quella notte?"
Il mio cuore prende a battere come impazzito, quel riferimento a quella notte non me lo aspettavo. Le labbra si socchiudono contro al mio volere, non so cosa rispondere.
Lui mi guarda, mi guarda insistentemente la vestaglia nera, mi guarda le spalle, il seno.
"Allora? Non ti sei divertita?"
Annuisco.
"Sì, mio Signore."
Lo guardo in silenzio, lui mi sorride, mi prende i capelli e, senza violenza, mi avvicina a lui.
"Perché sei la mia puttana e se voglio che fai questo, tu fai solo questo; se non ti voglio mandare alla missione, non ci vai e non fai rimostranze, non sei tu la padrona, sono io. Non sopporto le tue lamentele, non ne voglio mai più sentire."
Quando mi dice così non so mai quanto mi prende in giro e quanto dice il vero, ma mi piace sempre e non rispondo, lo ascolto e basta.
Mi avvicino leggermente a lui, sospiro.
Sento che con la mano stringe i miei capelli più forte di prima.
"Devi solo ubbidire a ciò che io comando."
Prego la testa verso la sua mano e lo guardo languidamente. Come gli piace darmi ordini.
"Non ne farò più di rimostranze, mio Signore, mi è piaciuto molto quella notte stare con voi."
Gli sorrido anche io. Mi sento sciogliere le membra quando mi fa sentire la sua forza, mi sento bagnata ogni attimo di più quando mi dice che sono la sua puttana.
Lui resta immobile a guardarmi. Quindi mi avvicino ancora, molto lentamente.
Ancora non si muove, mi illude di farsi baciare. Gli guardo insistentemente una sola cosa: le labbra. Mi sento come ipnotizzata da quelle labbra, vorrei solo toccarle con le mie, averle, morderle, baciarle.
Il mio respiro si fa lento, ritmato, emozionato. Lui resta sempre immobile, lo sa ciò che voglio.
Mi guarda solamente, non fa altro.
Lo osservo anche io, ma i suoi pensieri sono completamente irraggiungibili e incomprensibili.
Mi avvicino per baciarlo sul serio, davvero, anche lui lo sa, lo capisce immediatamente.
Eppure nulla, attende.
Ad un istante di lontananza dalle sue labbra socchiudo gli occhi. Respiro, il cuore mi batte forte, posso sentire il mio sangue eccitato e agitato correre all'impazzata per tutto il corpo, il mio cervello entrare nell'estasi più pura.
Ogni cosa attorno scompare totalmente,
posso sentire perfettamente il suo calore, il suo respiro, quasi il sapore delle sue labbra, ma invece del tocco perfetto che mi aspettavo, di nuovo sento un gran dolore sulla guancia, questa volta soprattutto sulle labbra.
Apro gli occhi e lo guardo.
Non mi aspettavo che mi avrebbe colpita ancora e con così tanta forza, non con così tanto calcolo. Mi appoggio alla balausta della terrazza, appena, più per la sorpresa che per non cadere a causa di quello schiaffo.
Lui non si muove, non fa una piega, solo le sue labbra si piegano in un sorriso diabolico.
Il vento si alza fra di noi. Una folata di aria fresca mi scompiglia di più i capelli e mi fa bruciare le labbra.
Sangue. Sento la ferita sulla pelle grazie al vento che ci scorre sopra, poi il sapore del ferro vicino alla lingua.
Non appena lui se ne accorge, il suo sguardo, da duro e furioso che era, diventa più rosso. Come se un incendio fosse divampato improvvisamente in quegli occhi.
Lo guardo, valuto e soppeso la situazione: non voglio provocarlo troppo, c'è una linea sottile tra il gioco e la rabbia vera, e non è bene superare quella linea.
Qualcosa in quello sguardo che mi dice che non lo farà, lo conosco e mi piace doverlo interpretare.
Ugualmente non mi muovo, non oso più fare un solo movimento, nemmeno impercettibile, verso di lui.
Scosto solamente alcuni fili di capelli che mi erano finiti davanti agli occhi, quindi torno a guardarlo.
In quel momento è lui che si avvicina a me, sembra vedere solo quelle stille di sangue che mi escono dalle labbra.
Ha assestato lo schiaffo su di esse, non sulla guancia, lo ha fatto di proposito e tanto forte da farle sanguinare. Non vuole mai che le mie labbra sfiorino le sue, ma ora è lui che si china su di me e crudelmente le sfiora, afferrandole poi in una stretta forte, inesorabile.
Morde e lecca il mio sangue, lo divora con accanimento, tanto che ormai non ce n'è quasi più. Continuiamo lo stesso, le mie labbra cercano le sue e le sue cercano il sangue puro.
Quando si ferma, perché il sangue non si sente più, mi guarda contrariato, distante.
Io ricambio quello sguardo, ancora vicinissima a lui.
Ancora una volta vedo che resta vicino, non si allontana.
"Questo era un bacio, mio Signore?"
Questa volta fa solo l'atto di schiaffeggiarmi, si ferma a pochissimo dal mio viso.
"Non riesci proprio a fare a meno di disubbidire, quindi?"
Scuoto la testa. Sorrido.
"No, mio Signore, non riesco."
Posa la mano sulla mia guancia, non mi fa male.
"Dunque?"
Chiudo gli occhi, mi strofino la pelle del viso sulla sua, della sua mano fredda e prepotente.
"Allora punitemi, mio Signore, me lo merito."
Restiamo in silenzio solo qualche attimo prima che lui infili la mano sotto la sottoveste, sento il pizzo lacerarsi al passaggio delle sue mani, il raso si strappa poi leggermente, si fa strada con la mano, così da potermi toccare il seno e baciarlo e succhiarlo.
Non appena lo tocco, lo stringo a me, noto che mi spinge verso la ringhiera del terrazzo, sento il dolore degli spigoli, il freddo del marmo sulla pelle quasi nuda.
Si ferma solo un attimo per aprirsi i pantaloni, prima di penetrarmi con forza, non la smette di guardarmi e lo guardo anche io mentre mi appoggio con le mani alla ringhiera e lui mi solleva le gambe per avvinghiarmi ai suoi fianchi.
Iniziamo entrambi dunque una serie di spinte forti, appassionate, violente.
Mi fa impazzire con quei movimenti lenti, ma profondi e devastanti. Cerco di rallentare il momento del l'orgasmo: voglio sentire ancora quella sua specie di bacio al sapore di sangue.
Ad ogni spinta reclino la testa sempre più all'indietro, mi spingo verso di lui col corpo, mentre coi denti stringo le labbra, sempre più forte seguendo il ritmo del mio piacere, mordo violentemente fino a farle sanguinare.
Fanno male sul livido dello schiaffo. Fanno male anche quando lui ci si avventa sopra con le labbra e con la lingua, per prendere di nuovo tutto il mio sangue.
In quell'istante veniamo entrambi, con un orgasmo violento, quasi disperato e liberatorio. Senza urla, senza rumori, solo gemiti quasi strozzati senza farci sentire, su quella terrazza immensa, la più esposta e frequentata di tutta l'intera villa.
Lo guardo, vorrei stringerlo a me ma non posso, lui non vorrebbe mai.
Resto seduta per un attimo sulla ringhiera con la vestaglia strappata e il vento che accarezza ogni frammento della mia pelle e della mia carne.
Solo ora percepisco sotto di me il marmo che mi ha fatto male ovunque, la mia pelle nuda al freddo della notte, seduta sul marmo ghiacciato.
Sento bruciare dove mi ha appena penetrata con forza.
Lo guardo stanca e inebetita, si affianca a me appoggiandosi appena sulla ringhiera bianca e spigolosa, non dice una parola. Riprendiamo fiato entrambi.
Assaporo il vento che mi sfiora dappertutto, mi fa bene e mi fa male. Sorrido tra me: vorrei stringerlo forte in un abbraccio, vorrei che mi scaldasse, comincio a sentire di nuovo il freddo dopo il calore dell'orgasmo, so che non potrò mai fare una cosa simile.
Mi avvicino solo un po' a lui, appoggio le mani sulla balaustra, lo smalto rosso sul marmo bianco mi ricorda quel suo strano bacio di prima, il sangue rosso sulle labbra pallide. Che bacio poi non era, era solo per impossessarsi del mio sangue.
Lo guardo, lui non parla, è sempre così ostinato.
Gli sorrido in silenzio, lievemente nascosta dai miei stessi capelli.
Mi basta averlo accanto.

Sgath, che significa oscuritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora