Rossi come il sangue

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Rossi come il sangue: Lord Voldemort

Guardavo l'erede nel buio della stanza, lo guardavo quasi in continuazione, io fermo nell'oscurità e lui davanti a quel fuoco ardente.
Quell'elemento lo scaldava e contribuiva a tenerlo in vita.
La vicinanza con esso era probabilmente una delle sue poche speranze di restare tra noi.

Andava comunque bene così.
Era il mio erede e doveva passarla questa difficoltà.
Poteva diventare una sorta di prova per lui, per mostrare la sua forza e volontà di vivere.
Gli avevo dato un'opportunità e non poteva deludermi sprecandola.
Doveva essere perseverante, attaccato alla vita, esattamente come me.

Purtroppo, al contrario, sembrava incredibilmente debole in quel momento e io odiavo i deboli.
Questo risentimento viveva da sempre in me, fin da quando ero un bambino io stesso.

Durante quei giorni in cui si era palesata la presenza di quel piccolo mago, non avevo potuto evitare di ripensare al mio passato.
Avevo valutato tutti i particolari che conoscevo del mio concepimento e della mia nascita.
Mi era chiaro che troppa inettitudine ed incapacità mi avevano circondato fin da allora.
Da parte dei miei genitori, e della mia famiglia decaduta ed inesistente.
Non potevo che detestare gli esseri deboli.

Nonostante questo guardavo l'erede, guardavo Sgath.
Osservavo che lui fosse diverso, nonostante il suo sangue impuro.

Osservavo che continuasse a respirare, alzando pian piano e regolarmente il piccolo petto, inoltre volevo capire com'era fatto.

Avevo visto tanti bambini appena nati all'orfanotrofio, tanti da averne la nausea, quei corpicini rugosi e umidicci, quella vulnerabilità estrema che si poteva leggere nei loro occhi.

Per fortuna lui era diverso.
Sgath era speciale.
Ne ero certo, lo avevo capito immediatamente.

Aveva pianto non appena lo avevo afferrato e allontanato dalla carne di Bella.
Aveva pianto, urlato e strepitato.
Mi aspettavo di vederlo già morto, già annientato da quella nascita troppo precoce, invece era vivo e vegeto.

Mi accorsi subito che voleva vivere, fu la prima cosa che mi stupì fortemente.

Sei mesi non sono tanti per un piccolo essere, ma lui era finalmente al mondo e voleva rimanerci assolutamente.
Fu da quella condizione che iniziai a vedere come mi assomigliasse.

Avrei potuto ucciderlo in quel momento esatto, ma non lo feci.

Attesi solo un istante e quello bastò per farmi prendere una decisione inspiegabile, ma definitiva.
L'erede infatti proprio in quell'istante aprì gli occhi, con fatica, ma con convinzione.
Fu allora che mi guardò per davvero, per la prima volta incrociò i suoi occhi dritto nei miei.

Vidi che li aveva rossi come il sangue.

Rossi fin dalla nascita, dal suo primo istante di vita.

Impiegò diverso tempo, in seguito, prima di iniziare a cambiare colore, man mano infatti quel rosso così acceso diventò cupo, quasi un colore normale, ma quel primo attimo non potei più scordarlo.

Improvvisamente non volli ucciderlo, fu la decisione di un attimo: troppo rossi quegli occhi, troppo simili ai miei.
Io non li avevo avuti così da sempre, Sgath invece aveva dimostrato quella stranezza fin dalla nascita e questo mi aveva colpito molto.

Era mio.
Non era come nessuno della mia famiglia, era come me.

Respirai piano e presi un attimo per riflettere.

Notai che si era fatto tutto silenzio intorno, la pioggia lentamente aveva cessato di battere sulle imposte e il vento si era calmato.

Si potevano udire solo i pianti dell'erede che man mano si facevano meno invadenti.

Sgath, che significa oscuritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora