Il sabba di Yule

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Il sabba di Yule: Bellatrix

La notte di Yule era ormai alle porte e con essa era giunta la sua potente magia, così forte da essere palpabile nell'aria.

Il freddo tipico del periodo si faceva sentire forte fra quelle mura, il suo buio penetrava l'aria e restava immobile per la maggior parte delle ore.
Tutto attorno taceva.

Fuori, tutt'attorno alla radura, fino all'orizzonte, la notte era limpida come un diamante, la luna non era bianca e lattiginosa, ma emanava sfumature blu cobalto, pareva elettrica come l'oscurità che circondava tutto.

Ero sola con Sgath quella notte, e non volevo perdere quella magia, sentivo che sarebbe successo qualcosa d'importante e il mio intuito non aveva mai sbagliato.

Guardai l'erede e mi parve di capire che anche lui percepisse quell'energia tutto attorno.

Era un mago strano, mio figlio.
Era imprevedibile e a volte mi metteva persino inquietudine: così piccolo e così misterioso, sembrava possedere dentro di sé tutti i segreti dell'universo oscuro. La luce delle stelle in lui non esisteva, odiava la luce della luna e strillava ogni volta che mi fermavo a guardarla.

Era successo ogni notte, tutte tranne quella, quando la luna era color blu cobalto e a Sgath non dava alcun fastidio.

A tarda ora iniziai ad accendere le candele per attrarre la magia del solstizio d'inverno, in tutta la stanza avevo disegnato un enorme pentacolo di fuoco e sentivo finalmente l'energia magica scorrere nelle mie vene.

Il fuoco delle candele scaldava appena l'aria gelida, ma con quella luce si aveva l'impressione di essere in mezzo alle fiamme dell'inferno.

Mi sono dunque mossa e ho afferrato Sgath fra le mie braccia, non volevo riprendesse a tremare come era successo varie volte dopo il primo e più eclatante episodio.
Non avevo però più osato chiamare il Signore Oscuro, quei tremori erano divenuti sempre più rari e meno intensi, fino a scemare quasi completamente, in ogni caso volevo comunque evitarli.

Odiavo vederlo sofferente.

Era cresciuto e diventava ogni giorno più ardito, non aveva mai sonno la notte, mentre dormiva spesso durante il giorno. Per questo non si perdeva mai un solo rito, incantesimo o invocazione notturna dei poteri oscuri.

Adoravo sdraiarmi in mezzo al fuoco delle candele durante questi eventi e osservare la notte scendere dentro di me. Appoggiai un gomito a terra e una mano alla tempia, guardai a lungo l'erede osservare le candele, lo avvolsi col mio grande scialle di lana nera e giocai con lui.

Ci divertimmo per ore con incanti di vario genere.

Quando sentii che gli occhi iniziavano a chiudersi per il sonno ero ancora sdraiata a terra, ma la notte più lunga dell'anno non accennava a lasciare il posto alle prime luci dell'alba e Sgath ancora non dormiva.

Osservai le fiamme delle candele aumentare e diminuire d'intensità con tempi precisi, le vedevo disegnare ombre più o meno macabre sulle pareti, danzando ad un ritmo che conosceva solo l'erede.

Illuminavano a tratti Uroboro, il serpente alato che mai ci abbandonava, rendendolo prima enorme e minaccioso come un drago e poi di nuovo serpente, bello e sinuoso nelle sue grandi ali.

Sembrava non stancarsi mai di far muovere il fuoco.

Le candele iniziarono anche a tingersi di giallo, rosso, arancione e blu, poi bianche, allora guardai l'erede arrabbiata.

"Smetti di giocare, Sgath. È ora di dormire."

La stanza riprese quasi subito l'atmosfera infernale dell'inizio, abbandonando ogni aspetto giocoso.
Il piccolo chiuse gli occhi per poco tempo, per poi iniziare di nuovo ad agitarsi fino a frignare palesemente.

Sgath, che significa oscuritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora