Il desiderio di Sgath

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Il desiderio di Sgath: Lord Voldemort

Quei giorni passavano lenti, tremendamente lenti e apparentemente tranquilli. Tanto placidi da rendermi nervoso.

Non avevo trovato ancora una soluzione all’ennesimo problema che avevo incontrato sulla mia strada.
Ancora non mi capacitavo di come quel piccolo esserino insignificante potesse avere il potere di controllare la fenice, che era l’oggetto del mio desiderio.
Non riuscivo ancora a scorgere la benché minima possibilità di appropriarmi di essa.

Non riuscivo ad entrare in contatto con l'erede.
Lo tenevo a distanza nonostante fosse mio figlio.
Eppure, allo stesso tempo, non riuscivo a distaccarmene del tutto.
Ero troppo intelligente per non intuire che questa ambivalenza del mio comportamento derivava dalla mia infanzia solitaria.
Ero stato abbandonato e non voluto, sapevo perfettamente cosa significasse il dolore del rifiuto.

Non lo avrei voluto infliggere al mio erede, ma era inevitabile perché faceva parte di me.

La mia solitudine non mi permetteva di avvicinarmi più di quanto avevo già ampiamente concesso. La capacità di stare solo con me stesso, il fatto di contare solo su me stesso mi avevano permesso di sopravvivere, di diventare ciò che ero e dunque non ero intenzionato a rinunciarci per nulla al mondo.

Era una situazione particolarmente complicata.

Mi alzai dalla poltrona accanto al fuoco. Faceva freddo in quella torre in mezzo alla radura e solo il fuoco rendeva più calde le nostre nottate.

Avanzai silenziosamente verso il camino e non appena sentii il calore accanto alla pelle mi rivolsi a lei.

“Bella…”

Lei era poco distante e teneva l'erede in braccio, giocando come sempre ad una distanza appena percettibile dalle fiamme.
Madre e figlio erano così in simbiosi con quell'elemento che talvolta sembravano essere un'unica essenza.

Bella si volse immediatamente verso di me. Mi guardava senza parlare, attenta e pronta a percepire ogni mia parola e ogni mio desiderio.
Mi osservava con quel suo sguardo tanto particolare, con quegli occhi neri e vivi, spietati.

“Voglio che tu mi dica la tua opinione su un argomento importante."

Mi fermai per un istante, lei annuì con calma.

"Ditemi, mio Signore."

La guardai per un istante.
Mi sentii ammaliato dalle sue labbra rosse per la vicinanza col fuoco.
Gli occhi erano ardenti di passione e i capelli, che le erano cresciuti ancora, ricadevano a coprire leggermente il viso, rendendola misteriosa e affascinante.

Scacciai velocemente quei pensieri inutili e tornai al sodo.

"L'erede, quel bambino così piccolo e fragile, com’è possibile che possegga la fenice?”

Mi costò molto fare quella domanda, chiedere pareri non era mia abitudine, ma sapevo benissimo quanto lei fosse intelligente e intuitiva, conoscevo bene quanto tempo passasse col piccolo, come entrambi fossero legati da qualcosa che io non volevo condividere.

Sapevo benissimo che se qualcuno poteva far qualcosa per aiutarmi a risolvere quel problema e farlo in fretta, questa era proprio lei.

Rimase zitta per qualche attimo, come pensierosa.

“Non lo so, mio Signore..."
Spostò il suo sguardo e la sua attenzione sull’erede, come per esaminarlo.

“Ho pensato molto anch’io a questa situazione, a questo potere che Sgath ha sulla fenice e che invece dovreste avere voi, ma non sono riuscita a trovare nessuna spiegazione e nessuna soluzione. Sono mortificata per questo, mio Signore.”

Sgath, che significa oscuritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora