Un altro inizio

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Un altro inizio: Sgath

Era sera inoltrata, tutti i miei compagni dormivano già, ero l'unico sveglio in quella notte senza luna, buia, scura e penetrante.

Erano le notti che più amavo e che più mi facevano sentire sicuro. Sapevo che sentirsi così tranquilli nell'oscurità e nella solitudine era piuttosto strano, che molti avevano persino paura del buio, ma non io.

A me piaceva davvero molto, ma sapevo di essere diverso.

In quella notte senza luna me ne stavo fermo e solo, in silenzio, vicino al fuoco crepitante nel caminetto.
Era la mia Sala Comune, era la prima sera che passavo lì dentro, il primo giorno ad Hogwarts.
Sarebbe stata la mia nuova casa per i prossimi sette anni.
Per la prima volta nella mia vita ero lontano da tutti e questo mi dava una sensazione di timore misto ad eccitazione.

Mi guardai intorno con calma, soffermandomi su tutti i particolari con lentezza e attenta analisi.
Non avete mai immaginato di finire in quella casa, proprio in quella Sala Comune, nessuna delle persone a me vicine aveva mai vagliato quella possibilità.
Io, dal canto mio, avevo sempre pensato di finire insieme a Teddy e di restare accanto a lui anche durante la scuola.

Sospirai e alzai le spalle.
Il destino aveva voluto diversamente.

Cercai di immaginare cosa stesse facendo Teddy in quel momento, come fosse la sua Sala Comune, il suo dormitorio, se stesse dormendo, o se anche lui stesse osservando ciò che lo circondava, la magia, la storia, il misticismo di questi luoghi.

Più mi guardavo intorno, più osservavo l'oscurità e i riverberi e il fuoco nel camino, più mi riscoprivo sicuro, al posto giusto.
Sentivo che avrei potuto ritrovare qualcosa che avevo perduto.

Forse era davvero il mio destino, la magia che tornava da me.

Teddy probabilmente stava provando la stessa sensazione? E tutti gli altri ragazzi giunti ad Hogwarts insieme a me quel giorno?

Mi rincantucciai nel mio posto abbracciando le ginocchia.

Forse a mio fratello importava più di fare amicizia, di legare coi nuovi compagni, gli interessava scoprire i dormitori, immaginare i campi da Quiddich e poi riposare, in vista delle nuove avventure del giorno seguente.

Quando il Cappello Parlante si era posato sulla sua testa, era diventato eccitatissimo e i capelli si erano tinti di rosso acceso, quasi volessero richiamare i colori della sua futura casa.

Senza nessuna incertezza il Cappello aveva gridato "Grifondoro" e lui aveva sorriso raggiante correndo verso la sua tavolata.

Anche io avevo sorriso guardando nella sua direzione.

Ero contento per lui: sapevamo entrambi che desiderava diventare un Grifondoro come suo padre, come Harry e i suoi amici, voleva vivere tutte le avventure che gli avevano raccontato, sentirsi più vicino alle persone che non aveva mai potuto conoscere e a cui voleva bene dal profondo del cuore.

Io, al contrario, non avevo una netta preferenza, non sapevo nulla di me e non mi interessava nemmeno ripercorrere la vita di nessuno.
L'unico vero desiderio che avevo era quello di essere un bravo mago, anzi, per dirla tutta mi sarebbe piaciuto essere il più bravo fra i maghi.

Qualsiasi casa sarebbe andata bene, però pensavamo saremmo finiti entrambi a Grifondoro, ma appunto, non fu così.

Mi guardai attorno ancora una volta. Tutto sembrava ricordarmi qualcosa, riportare in superficie sensazioni, sentimenti e poteri nascosti chissà dove dentro di me.
Inabissati nel profondo della mia anima.

Non riuscivo in nessun modo a costringermi ad andare a dormire. Un'ondata di oscurità sembrava riprendere posto nella mia anima.
Chiusi gli occhi come rapito da una stanchezza prepotente.

Rimasi così a lungo, poi qualcosa mi stupì: sentii la pietra che portavo al collo riscaldarsi velocemente.

Sospirai profondamente, con molta calma, la cosa non mi fece paura anche se era un evento nuovo e strano.

La pietra mi era famigliare, faceva parte di me e cercavo sempre di percepire i suoi segnali.

Da quando mi trovavo in quel luogo magico che era la scuola, sembrava ancora più attiva del solito.

La sfiorai con le dita, mantenendo gli occhi chiusi. Era calda, quasi vibrante.

Si riaffacciarono in me sensazioni, immagini fugaci.
Il buio, la notte, l'assenza di luna, il fuoco, la mamma...

La mamma.

Riaprii gli occhi spaventato da non so che.
Qualcosa mi strinse lo stomaco, un ricordo vivido e fugace mi aveva fatto sentire qualcosa di violento. Qualcosa che sapevo essere la presenza di mia madre.

Tenni fisso lo sguardo verso le finestre che lasciavano intravedere gli abissi oscuri del Lago Nero.

Osservai attorno le luci verde smeraldo, mi soffermai sulle fiamme del camino.

Mi batteva il cuore, non sapevo cosa pensare.

Forse anche lei era stata in quei lunghi? O forse la mia era solo suggestione.

Sorrisi amaramente.
Avrei voluto ricordare, o immaginare, anche qualche sensazione legata a mio padre, ma in quel momento non riuscii.

Ripensai un momento a lui, al nostro legame.

Custodivo ancora gelosamente il segreto della lingua che nessuno poteva comprendere tranne noi.
Tenevo quella conoscenza dentro di me come un tesoro, non l'avevo mai detto ad anima viva, nemmeno ad Andromeda.

Ero legato a quel segreto come se un giorno avesse potuto aprirmi un mondo diverso, più vero.

Sfioravo con lo sguardo i simboli della mia casa sparsi per la Sala Comune come se solo loro potessero capire, come se potessero sentire cosa mi stava succedendo.

Un'energia potente sembrava muoversi e risvegliarsi dentro di me. Guardai il mio animale magico con nuova curiosità.

Uroboro mi faceva compagnia volteggiando nell'aria. Osservandolo nel riverbero verde smeraldo di quella grande stanza, intuii qualcosa di ancora indecifrabile: lui era un serpente alato e la mia casa portava il simbolo dei serpenti.

Forse significava che ero destinato? A cosa ero destinato non lo capivo.

Passai ancora molto tempo perso in tanti pensieri e fantasie.

Il fuoco nel camino invece che spegnersi col passare delle ore, prendeva vita, sembrava seguisse i miei pensieri e che si ravvivasse con essi. Mi trasmetteva energia e calore.

Non avevo più paura. In quel momento sentivo la vicinanza di qualcosa di speciale.

Solo alle primissime luci dell'alba avevo deciso di andare a dormire, non mi importava se sarei stato già stanco alle prime lezioni, avrei avuto tempo per recuperare.
Quella notte solitaria e buia, invece, era stata speciale per me, irripetibile.

All'inizio di tutto questo non capivo, ero rimasto stupito del luogo dove mi trovavo, solo, lontano dalle persone che conoscevo bene, ma a seguito di quelle lunghe ore passate quasi in un sogno, allora mi ritrovai, riconobbi qualcosa di mio che non sapevo, o che semplicemente avevo dimenticato.

La mia vita poteva cominciare da lì.

Così, per un attimo, fui pienamente felice che il Cappello Parlante, appena appoggiato sul mio capo, avesse gridato la sua sentenza.

"Sgath Black, indubbiamente, a Serpeverde."

Allora mi sentii finalmente a casa.

Sgath, che significa oscuritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora