Uroboro

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Uroboro

Finalmente iniziò a far caldo anche nelle ore più tarde della notte, io iniziai ad apprezzare il semplice restare fuori nel buio, insieme agli animali notturni.

Erano le sere in cui andavo in cerca di informazioni sulle bacchette magiche, su come costruirle, su come trovare il legno adatto e permearlo di energia e potenza.

Non era assolutamente un compito facile quello. Ci voleva molta preparazione ed esperienza per riuscire a creare una bacchetta magica con tutte le caratteristiche peculiari. Io al contrario non avevo né una preparazione specifica, né tantomeno esperienza in tale settore.
Avrei dovuto improvvisare e non avrei potuto permettermi errori.

Quelle erano notti in cui facevo incursione nei villaggi, nelle bettole, nei negozi più oscuri e nascosti. Cercavo libri, pergamene, disegni e appunti sull'argomento.

Non potevo commettere né il minimo errore, né la più stupida leggerezza.

Indossavo sempre un mantello nero, lungo fino a terra, solo i miei capelli lunghi uscivano leggermente dalla stoffa scura. Portavo sempre il cappuccio alzato e non mi lasciavo avvicinare da nessuno.

Nessuno doveva sospettare, nessuno doveva riconoscermi.

Se capitava qualche situazione imprevista, ero veloce nella mia decisione: in un istante l'incauto avventore stramazzava a terra fulminato dall'anatema che uccide.

E il silenzio e la notte regnavano di nuovo sovrani.

A volte non era facile sguainare la bacchetta senza che nessuno attorno vedesse qualcosa, oppure altre volte ero leggermente più lenta di altre, allora capitavano cose particolari.

Braci ormai spente che lanciavano lingue di fuoco, fiammate che prendevano vita da semplici candele, lanterne che improvvisamente creavano esplosioni inaspettate.

Ognuno di questi piccoli incidenti era mortale per colui che mi stava davanti o che mi creava problemi.

Mi succedeva anche di essere orgogliosa di questi fenomeni.

Sapevo bene chi era a provocarli.

Quelle sere tornando verso la torre dove avevamo preso dimora, riflettevo in silenzio e guardavo la luce della luna penetrare fra i rami degli alberi e dei rovi.

A lui non piaceva la luce della luna. Ogni volta che mi soffermavo su di essa, forti vertigini mi coglievano quasi all'improvviso.

Poi arrivavano qualche brivido e il sudore freddo, la stanchezza, la debolezza.

Non amava la luce. Cercava l'oscurità e il fuoco.

Solo quello.

Aveva le idee chiare già allora.

Fu proprio in uno di quei momenti di stanchezza che incontrai sulla mia strada uno strano essere.

Ero appoggiata al tronco di un albero per far passare la strana debolezza.

Lentamente mi decisi ad incamminarmi verso la radura che circondava la torre e c quel punto un rumore strisciante tra l'erba mise in allerta i miei sensi.
Trattenni il respiro, cercai di sentire meglio, di capire di cosa si trattava.

Nessuno prima di allora, eccetto Nagini, si era mai avvicinato a quel luogo, e nessuno avrebbe mai dovuto avvicinarsi.

Lentamente e silenziosamente, afferrai la bacchetta da sotto la veste, senza però estrarla.

Poi silenzio di nuovo.

Decisi di muovermi per prima, per farlo venire allo scoperto.

"Lumos."

Sgath, che significa oscuritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora