Capitolo 35

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Appena la campanella suonò, Katherine corse fuori dalla porta.

Aveva preparato lo zaino già un quarto d'ora prima della fine della lezione.
Non aveva incontrato Jack all'intervallo, quindi doveva assolutamente trovarlo.
Non sapeva esattamente cosa dirgli, ma aveva deciso che sarebbe stata sincera.
Così Jack avrebbe capito che non era come pensava, che ci teneva alla loro amicizia, ma che nemmeno volendo poteva cancellare l'amore che provava per la sua Prof.

'Sì... Jack capirà.' appena lo vide gli corse incontro, schivando le cartelle dei compagni che la intralciavano.

Il ragazzo, con le cuffiette nelle orecchie ad isolarlo da tutti e tutto, camminava veloce sul marciapiede diretto verso a casa.
Abitava non lontano da lì. Una ventina di minuti a piedi.

La rossa alle sue spalle gli toccò dolcemente il braccio per attirare la sua attenzione.
Jack d'istinto si tolse una cuffietta, voltandosi, ma appena vide l'amica, una smorfia di disgusto sfiorò il suo volto.  In petto sentì come uno spillo affondare lentamente nella carne, irritandolo sempre più.
«Jack... scusa se non c'ero.
Cioè, io in realtà ero lì all'inizio dell'intervallo, ma... ma poi...» balbettò nervosamente.

L'espressione del ragazzo la osservava dura. Non l'aveva mai visto tanto serio.
Kat si sentì a disagio. Quasi non lo riconosceva.
«Poi sono dovuta andare via e...»  continuò poco convinta. Il cuore le batteva feroce tra le sue costole, il leggero tremolio delle sue gambe le ricordó che quella poteva essere la fine di tutto.

Jack non aprì bocca.
La guardava con superiorità, facendola sentire insulsa.
La ragazzina si sentì gelare, lo stava guardando dritto negli occhi, ma non vedeva Jack. Non era il suo sguardo, non lo riconosceva.
«Ecco...» le parole le si seccarono in bocca facendola tossicchiare. Si toccò nervosamente le mani sudate tra loro.
Il silenzio assalì il suo cuore, le frasi morte in gola.

Jack fece un respiro.
Aprì bocca, rimanendo immobile per un solo impercettibile attimo, a combattere contro se stesso.
«Levati dal cazzo.» scandì perfettamente ogni parola.
Il suo sguardo privo di emozioni.

Una pugnalata invisibile colpì Valentine.
Non ebbe nemmeno il tempo per capire, per rendersene conto. Prima il caos e poi il dolore.
In quel momento il suo cervello, quasi a prendersi gioco di lei, le fece notare, come le parole velenose facessero ben più male  se dette da qualcuno di cui ti fidi.

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Non poteva farci niente.
Jack inespressivo la guardò piangere e senza fiatare si girò, lasciandola alle proprie spalle.
Una lacrima scivolò delicatamente sulle sue lentiggini, come se il suo corpo avesse realizzato il dolore prima di lei.
«Ma... cosa...» sussurrò a se stessa.
La sagoma offuscata di Jack se ne andava, senza girarsi una sola volta.
«I-io...» balbettò mentre altre lacrime facevano a gara sul suo visino.

Non riusciva a capire, la sua testa si rifiutava di farlo, di lasciarle affrontare quel dolore .
«Devo andare a casa.» si ricordò ad alta voce.
I suoi piedi obbedirono a quell'ordine trasportandola.
Katherine vide le proprie gambe portarla alla fermata, le mani asciugare ogni lacrima.
Vide il riflesso di se stessa sorriderle sul finestrino dell'autobus, mentre le porte si aprivano per farla entrare.
Si chiese se il suo riflesso stesse ridendo di lei o se al contrario la stesse spronando a resistere.

Solo quando Katherine arrivò a casa e si sedette sul suo letto, solo allora il suo corpo cedette sotto a quel peso enorme, lasciandola cadere in un pianto disperato.

Era finita.

Non aveva bisogno di altre conferme, non avrebbe potuto reggere altre conferme.
«Sono così stupida!» accusò se stessa tra i singhiozzi.
Non aveva nessuno.

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