Capitolo 36

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«Prof... Prof, la prego… Mh!» il corpo tremava irrequieto sotto il tocco di Jade.
«Cosa vuoi?» una risata distinta risuonò ovunque.  Sadica e divertita. Buttò allo scoperto la sua fragilità.

Adorava sentirsi debole. Amava subire. Non poteva evitarlo, non poteva contrastarlo.
Aveva bisogno di essere trattata brutalmente dalla sua West.
Bastava uno sguardo. L'attimo dopo il suo corpo cedeva folle e bisognoso, inconsapevole delle proprie parole, senza alcun pudore.
L'unica cosa che voleva era appartenerle, essere sottomessa,  era sentire la propria Professoressa maneggiarla come un oggetto,  nutrendosi della sua sofferenza.

«West, la prego...» Il buio.
Bendata, i polsi legati dietro alla schiena. Rigettata disordinatamente sul letto a pancia in giù, con le ginocchia a terra e le gambe divaricate.
«Cosa vuole la piccola Violet?» passò il frustino facendolo scivolare lungo la sua schiena, fino al sedere, dandole i brividi.

«La prego Prof...
Prof la supplico, mi fotta...» il fiato pesante.
Il frustino scivolò tra le sue labbra, sporcandosi dei suoi liquidi.
Si agitò tra i gemiti, continuando a supplicare.

«Stai ferma.» le ordinò fredda, colpendola. Un urlo. Il segno rosso sulle sue natiche sfumò sul violaceo.
Erika soffocó la propria voce tra le coperte.
Il dolore intenso; ne aveva paura, ma non poteva fare a meno che desiderarlo.
«Scusa, scusa...» sussurrò irrigidendosi, imponendo al proprio corpo di stare fermo.

«Non so...
Ti stai comportando davvero male...
Vuoi sempre soddisfarti, che puttana egocentrica.» un'altra leggera frustata la fece gemere di dolore ed eccitazione.
«Scusa, scusa…
Sì, sì. Hai ragione. Mi sto comportando male.
Sono una puttana, la tua puttana.
Farò quello che vuoi.» ugioló delirante.
Disperata la ragazzina dai capelli rossi ripeteva quelle parole che sapeva piacere tanto alla sua insegnante.

Un dolore atroce la colpì, i colpi di frusta, veloci, la segnarono facendole spalancare la bocca in un urlo silenzioso. Una lacrima di dolore scese sul suo volto.

Jade sorrise.
«La mia Violet...» scoppiò a ridere sentendola respirare appena.
«Fottuta.» infiló due dita dentro, tra le pareti larghe e bagnate.

Violet spalancò gli occhi tirandosi su di scatto, le mancava il fiato e il suo corpo sudato e bollente, tremava.
Un altro di quei sogni.
«Tutto ok amore?» la voce assonnata e familiare del ragazzo di fianco a lei, la riportò alla realtà.
Erika si lasciò andare un sospiro esausto.

«S-sì...» bisbigliò.
No, non ne poteva più.
Il suo subconscio la stava massacrando.
Jade era dentro alla sua testa, o forse non se ne era mai andata. La perseguitava di nuovo, proprio come quell'estate. La vedeva ogni volta che chiudeva gli occhi.
Ogni sogno le riportava i loro ricordi, ogni incubo la faceva svegliare con il forte e triste desiderio di continuare a sognare.
Questo dal giorno in cui era stata a casa sua.

«Sarà la quarta volta che ti svegli di scatto e questa è la seconda notte, sicura che vada tutto bene, amore?
Non è che ti stai ammalando?» il ragazzo, affettuoso, le mise una mano sulla spalla per farla girare, e con un gesto semplice appoggiò le labbra sulla sua fronte per controllare la temperatura.
«No, direi che è normale.»  la guardò negli occhi, ed Erika provò a lasciarsi andare nel suo sguardo, cercando in tutti i modi un appiglio dove aggrapparsi, un posto dove rifugiarsi e salvarsi, ma non trovò niente.
Non poteva fuggire da ciò che c'era dentro di lei.

Gli occhi castani scuro di James erano troppo caldi, completamente diversi dai cristalli capaci di toglierle il fiato, i suoi capelli troppo chiari, i suoi lineamenti troppo teneri.
E il suo sguardo dolce ed innamorato la faceva sentire amata e al sicuro. Si sentiva divorata dal senso di colpa. Provò il forte bisogno di essere umiliata e maltrattata, distrutta, odiata. L'amore di James non creava in lei nessun brivido, nessuna debolezza, nessun dolore, di cui aveva bisogno per non pensare.
Non lo meritava. Non meritava l'amore.
Era tutto sbagliato.

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