Capitolo 40

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Trattenne le imprecazioni tra i denti.
'Quella stronza di Violet doveva proprio parlare, eh?' pensò acida.
Guardò Valentine senza dire niente.
«Mh sì, quindi? Vuoi sapere se è la verità?» Come se fosse niente Jade scrollò le spalle. Accennò un semi sorriso. Leggero. Noncurante. Non dava importanza a quella questione.

Il cuore della ragazza cercava un rifugio inesistente. Ingoiò la saliva senza sputare parola. Fece cenno di sì.
Non svagó lo sguardo, godendo per ogni lieve brivido di dolore, che il sorriso di West era in grado di farle provare.

L'insegnante sospirò silenziosamente.
Era nervosa. Ma nessuno se ne sarebbe mai accorto. Il suo viso pacato, come sempre. Come le maschere, era capace di esprimere una sola emozione artificiale.
«Sì probabilmente la storia che ti ha raccontato quella… la Prof Violet...» si corresse cercando nascondiglio nell'apatia, onde evitare di farsi smascherare dalla rabbia repressa tra le inclinazioni della propria voce.
«Probabilmente è vera.
Ho usato Erika per divertirmi, per passare il tempo, ed in seguito... per il mio esperimento.
Lei è stata la prima. È vero.» nell'ammettere quelle verità, sentì il proprio viso tirare, sorridente.
Non ne capì il motivo, ma ne sentì l'orgoglio.
Sentiva il sapore del male puro, farle il solletico sul palato. Come poteva non essere fiera dell'inizio del proprio geniale lavoro? Come poteva non sentire i brividi al ricordo di tanto potere?

Katherine tremava, tremava inerme tra le sue gambe. Spaventata, temendo il peggio. Temendo un dolore che non avrebbe potuto sopportare.
E Jade lo vide, lo seppe con certezza, analizzando le paure riflesse nei suoi occhi stanchi.

La consapevolezza di avere il controllo, accese la sua vena. La voglia di fare del male, la coscienza di poterlo fare, il piacere di infliggere. Era droga. Droga nera e sporca, droga rossa e sanguinolenta, pura e lussuriosa. Ammaliante, terribile, spaventosa.
La trascinava sempre più verso il patologico, il malato ed insano. La elevava al proibito, in alto, verso una visione distorta della realtà, macabramente goduriosa.
West stessa in certi attimi, temeva il peggio; la perdizione.
Ne prendeva coscienza negli attimi intensi in cui l'acquolina le riempiva la bocca, il ghigno le tirava le guance e il piacere le invadeva le viscere. I suoi preferiti; gli istanti dove la bestia in lei spingeva, gli istanti di attesa prima della tempesta, gli istanti dove tutto poteva crollare, e lei non lo fermava, al contrario, lo sprigionava. 
Viveva per gli attimi dove le bastava una parola, un gesto, un secondo solo, per distruggere.

Non era un tipo di malattia paragonabile alle perversioni fisiche, sessuali o mentali.
Non era descrivibile.
Era di più. Erano momenti catartici, trascendentali. Il dolore negli occhi delle vittime la inebriavano a livello spirituale, riempiendola di vita, nutrendola di un flusso divino. Senza che il fisico fosse toccato, raggiungeva picchi inimmaginabili dell'eden, nel proprio bagno di onnipotenza.


Temeva di diventarne dipendente. Ignorava la possibilità di esserla già, iludendosi di avere il controllo, temeva di perderlo. Di essere assorbita dalla crudeltà, dal vuoto.
Un animale rabbioso, istintivo, obbediente verso l'essenza del male.

Il sadismo era stato la sua salvezza, il suo nutrimento da sempre, da quando aveva iniziato a vivere. Dopo il primo assaggio, la tentazione aveva preso casa tra le sue costole, senza abbandonarla più .

Katherine, nel silenzio dei pensieri, fece due grandi respiri. Chiuse gli occhi. Per un attimo pensò che forse ad occhi chiusi, senza vederlo, non avrebbe fatto altrettanto male.
Strinse le palpebre, anche se bruciavano, come le fiamme nella sua gola. Rimase così. Quasi senza respirare.
«Jade quel quaderno...
Io-io sono... sono solo un esperimento?» Nonostante la sua voce fosse flebile, pronunciò chiaramente la frase.

West si accigliò.
Sgorgare dell'acqua, del fiume. Sentì il rumore fantasma tra i propri pensieri. Non ne capì il motivo.
«Tu fai queste cose con me perché sono la tua... cavia?
È tutto un tuo studio, non sono nient'altro per te?» arricciata su se stessa, contrasse i muscoli in vista del colpo.

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