La casa è ancora un disastro. La ditta di traslochi mi ha scaricato tutti gli scatoloni nel salotto, ammassandoli uno sull'altro in pile ordinate ma, dopo tre giorni, non ne ho aperti neanche la metà.
"JJ, quanta cazzo di roba ti sei portata?"
Olivia, la mia migliore amica, mi sta dando un prezioso aiuto nel sistemare tutto quanto: da giorni non facciamo altro che aprire scatoloni, pulire e riempire gli armadi e le credenze in un loop infinito, concedendoci giusto qualche pausa per mangiare e fumarci una sigaretta.
Liv vive qui a Los Angeles già da un anno ed è finalmente riuscita a convincermi a trasferirmi qui: mi aveva detto che questa era la città dei sogni, che non aveva niente a che vedere con la periferia di Seattle in cui eravamo cresciute, che qui avrei trovato la mia dimensione perché nessuno può essere triste a L.A.
Dal canto mio, per me non è stato poi tanto difficile decidere di andarmene da casa dei miei genitori: la vita di provincia mi è sempre stata stretta e ho sempre fatto fatica ad andare d'accordo con la gente della mia zona. Avevano tutti la stessa identica mentalità piuttosto chiusa, la loro unica ambizione era quella di sposarsi, comprare una casetta modesta nei dintorni e fare figli.
Per quanto voglia bene alla mia famiglia, io invece ho sempre saputo che prima o poi me ne sarei andata da lì: qualsiasi altro posto per me sarebbe stato meglio di quella minuscola cittadina sperduta nel nulla, senza nemmeno un centro commerciale o una discoteca.
Olivia é stata la sola persona che abbia mai conosciuto a pensarla come me, l'unica a cui non interessava fare le cose come le facevano tutti gli altri: incontrarla è stata letteralmente una boccata d'ossigeno, l'unica cosa bella che mi sia successa al liceo. È una persona molto diversa da me, dal temperamento più esuberante e solare, ma siamo sempre state molto unite e mi ha fatto capire che non ero necessariamente io quella stramba, solo perchè avevo sogni e piani diversi rispetto a tutti quelli della mia età.
Mentre stiamo cercando di sistemare con un certo ordine una parte dei vestiti nel mio nuovo armadio, iniziamo a sentire dei rumori provenire da fuori. Si distinguono chiaramente risate sguaiate e chiacchiere ad alta voce, a cui si aggiunge presto anche della musica riprodotta ad un volume decisamente eccessivo.
Cerco di non farci caso ma, più cerco di ignorarli, più i decibel si alzano. Mi sembra quasi che le pareti stiano vibrando, possibile che nessuno sia ancora andato a lamentarsi?
Lancio uno sguardo frustrato a Liv, che solleva le spalle e continua a ripiegare con cura tutte le mie felpe come se niente fosse. Anzi, ondeggia addirittura la testa a ritmo della canzone. Come fa a non essere infastidita?
Mi alzo con uno sbuffo e abbandono la camera da letto per cercare di capire se fuori casa mia qualcuno stia dando una festa o qualcosa del genere: esco sul balcone e mi sporgo leggermente, aggrappandomi alla ringhiera polverosa.
Rimango alquanto stupita nel vedere solamente tre ragazzi: a giudicare dal casino che stanno facendo avrei giurato fossero molti di più. Due di loro sono a torso nudo, le loro t-shirt sono abbandonate sul ciglio della strada con noncuranza e si muovono davanti ad un terzo ragazzo che regge tra le mani una videocamera.
Le casse portatili poggiate ai loro piedi stanno riproducendo una canzone che non ho mai sentito prima e i due tizi senza maglia molleggiano a destra e a sinistra, facendo mosse che viste dall'esterno sono abbastanza ridicole. Stanno cantano sguaiatamente le parole della canzone, qualcosa tipo: "I could never switch up on my brothers, I put that on my mother".
Il mio sguardo viene attirato in particolare da uno dei ragazzi del gruppo: è decisamente un tipo a cui piace spiccare sulla folla. Passare inosservato non credo sia mai rientrato nei suoi piani visto che ha i capelli tinti di rosa, un milione di tatuaggi colorati che gli decorano tutto il corpo e una stupida ski-mask azzurra portata di traverso sulla testa, abbinata con dei boots di Timberland neri e degli skinny dello stesso colore.
Resto imbambolata a fissare questi tre tizi che si stanno evidentemente divertendo a girare quello che credo sia un video musicale o qualcosa del genere. Li fisso con un'espressione quasi disgustata, finché la musica non si spegne improvvisamente e i ragazzi sollevano la testa verso il mio balcone, ridendo sguaiatamente.
Approfitto del fatto che si siano accorti della mia presenza e spero anche che si siano resi conto di quanto siano fastidiosi.
"Ne avete ancora per molto?", sbotto incrociando le braccia al petto con un tono piuttosto antipatico. Il trasloco mi sta sfinendo e non ho minimamente voglia di rotture di palle del genere, anche perché credevo che questo fosse un quartiere tranquillo.
Il ragazzo con la videocamera si passa una mano tra i capelli castani e, con fare quasi imbarazzato, accenna delle scuse: "Ci dispiace, ora ce ne andiamo".
Contemporaneamente, però, il tizio iper tatuato fa qualche passo in avanti e inizia a ridere più forte: "Non fingere che non ti piaccia quello che stai guardando, baby".
Resto pietrificata per una frazione di secondo nel sentirmi chiamare in quel modo da quello sconosciuto: "Per niente".
"Baby, credi non mi sia accorto che mi stai fissando da tipo tre quarti d'ora?", ribatte con un ghigno sul viso, insistendo con quel nomignolo.
"Sì, perchè siete fottutamente fastidiosi", rispondo acidamente, nel tentativo di mostrarmi tutta d'un pezzo.
Una smorfia divertita gli si disegna sul volto e mi sfida con lo sguardo: "Ah, non perché ho un bel faccino?"
Chi diavolo crede di essere questo tizio? E soprattutto quanto cazzo è egocentrico per pensare che stessi fissando proprio lui tra tutti e tre?
"Abbassate quella merda, grazie", sbuffo facendo un cenno del capo in direzione delle casse Bluetooth.
Mi volto per rientrare in casa facendo ondeggiare i capelli neri al vento, quando la voce dello stesso ragazzo arriva ai miei timpani con un commento del tutto inopportuno: "Bel culo".
"Stronzo!". Richiudo la portafinestra con un gesto plateale nella speranza che mi lascino in pace al più presto.
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LET ME BLEED // LIL PEEP
Teen Fiction"Quando siamo soli dice di volermi e mi mangia letteralmente con gli occhi, mentre di fronte agli altri si diverte a sminuirmi ed umiliarmi. Chi cazzo crede di essere? (...) Vuole giocare con me? Va bene, ma da adesso in poi le regole le faccio io."...