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"Bexey, non fare così! Dai, aprimi".

Finalmente, dopo oltre dieci minuti che sto battendo i pugni con foga ed insistenza contro la sua porta e che sto cercando in tutti i modi di convincerlo, George si decide a sbloccare la serratura e farmi entrare nel suo appartamento.

"Porca puttana, smettila di fare casino!", mi accoglie alzando subito la voce, facendomi immediatamente intuire quale sarà il tono della discussione che sta per arrivare: "I vicini rompono già abbastanza i coglioni, non c'è bisogno che dai loro altri appigli".

Ignoro totalmente il suo rimprovero e vado dritta al punto: "Bex, dobbiamo parlare".

Il suo viso è contratto in un'espressione dura e ha le braccia incrociate al petto, nella classica posa di chi non è per nulla aperto al confronto; mentre io resto immobile in mezzo al suo salotto, con la gola secca e le nocche che mi fanno male per quanto le ho battute sulla porta.

"Ah, quindi ora sei pronta a parlare? Ho passato tutta la cazzo di notte e tutta la stracazzo di mattina a cercare di mettermi in contatto con te, sei sparita senza dirmi niente e non ti sei mai degnata di rispondermi... Chi cazzo credi di essere? Non sono qui al tuo servizio, non decidi tu quando è ora di parlare".

"Bex, dai, non fare il bambino e fammi spiegare", ribatto scocciata dalla sua infantilità.

Lui si arrende alla svelta con questa storia e si mette in posizione di ascolto, lasciandosi cadere sul divano: "Mi metto comodo, immagino che avrai una storia lunga da raccontare visto che non ho tue notizie da tipo ventiquattr'ore. Sentiamo, qual è stato il contrattempo così importante che ti ha costretto a darmi buca all'ultimo secondo per poi volatilizzarti nel nulla e non concedermi nemmeno un messaggio? Sono curioso".

Noto che pone particolare enfasi sull'espressione contrattempo, quasi come se volesse schernire la mia scelta di parole: ero stata io infatti ad usare proprio quel termine nel messaggio vocale che gli avevo inviato di fretta per giustificarmi, senza però specificare dove fossi, con chi e cosa stessi facendo. 

So di essermi comportata male con lui, ho gestito di merda la situazione ed ora non posso biasimarlo se è tanto incazzato con me. Mi sento in colpa e faccio davvero fatica a trovare il coraggio di ricostruire quello che è successo ieri sera, ma cerco comunque di tenere la testa alta e lo guardo dritto in faccia: "Peep aveva bisogno di me, sono stata a casa sua".

A questa mia ammissione, George sgrana immediatamente gli occhi; riesco a vederci attraverso delle fiammelle di rabbia che ardono e scoppiettano, preannunciando l'arrivo di un grosso incendio. Si rimette in piedi di scatto e fa un paio di passi nella mia direzione, con il viso contratto in una smorfia di pura collera.

"Scusami?!", mi investe prima che possa completare la frase: "Che cazzo hai fatto?".

"Calmati e fammi almeno finire di parlare, prima di scattare così! Peep mi ha chiamato per chiedermi aiuto, era in casa da solo ed era strafatto. Sono andata per controllare la situazione e stava di merda, era mezzo incosciente e poco reattivo... cosa avrei dovuto fare, abbandonarlo lì per conto suo?".

"Ah", farfuglia quasi in imbarazzo, ma senza ammorbidirsi minimamente: "E come cazzo sta adesso?".

"Si è ripreso", gli rispondo gelida, infastidita dalla suo tono duro: "Bex, cosa devo dirti? Mi dispiace se ho preferito assicurarmi che stesse bene, anziché venire a cena con te. E' questo che vuoi sentirti dire?".

Lui mi lancia uno sguardo che mi fulmina sul posto, con questa frase devo averlo irritato parecchio perché l'unica emozione che riesco a vedere sul suo viso è la collera: nient'altro, né dispiacere né delusione, solo ira.

LET ME BLEED // LIL PEEPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora