25

280 22 19
                                    

L'ago della macchinetta trapassa la pelle del viso di Gus, che resta immobile senza fare neanche una smorfia di dolore. Non so come faccia a restare impassibile: c'è un fottuto ago che gli sta bucando la faccia, eppure lui sembra completamente rilassato ed a suo agio sulla poltrona nera del tatuatore.

Dopo solamente una quindicina di minuti, Peep si sta già ammirando allo specchio con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra e il viso arrossato: "Figo, vero?", domanda in maniera retorica, intenzionato ad accettare solo complimenti per la sua nuova stella sotto al suo occhio destro. Neanche rispondo, é talmente felice che non gli interessa davvero sapere la mia opinione.

"Non vuoi farti un tatuaggio anche tu?", mi chiede con un ghigno divertito sul viso: "Baby, potresti fartene uno uguale al mio, magari sul culo, non ti sembra una bella idea?".

Lo fulmino con lo sguardo, rimproverandolo silenziosamente: se davvero vuole che siamo amici, dovrebbe seriamente piantarla di chiamarmi baby e dovrebbe davvero darci un taglio con sciocchezze e battutine del genere.

Gus paga in contanti e nel frattempo nel negozio entrano almeno altre tre persone: sono da poco passate le ventidue, ma a Venice Beach non è tanto strano trovare tatuatori aperti anche oltre la mezzanotte. 

Usciamo e ci dirigiamo in un minuscolo minimarket sul lungomare per comprare un paio di birre: con il bottino in mano raggiungiamo quindi la spiaggia e ci sediamo sulla sabbia umida, in un punto piuttosto appartato e tranquillo.

Facendo leva con l'accendino, io mi occupo di stappare entrambe le bottiglie; mentre Gus tira fuori dal pacchetto di sigarette una canna già rollata. Lui si accende immediatamente il joint senza perdere tempo: con il pollice gira rapidamente la rotellina dentata verso il basso, facendola scattare e innescando la fiamma, che difende dalla brezza facendo una sorta di cupola con la mano.

Sollevo la mia birra in aria e Gus fa lo stesso con la sua mentre tiene la canna mollemente a penzoloni tra le labbra; avviciniamo quindi le due bottiglie facendo tintinnare il vetro: "Alla salute", mi dice buttando giù il primo sorso.

Mi perdo a guardare il riflesso tremolante della luna piena sull'acqua e mi faccio cullare dal dolce rumore delle onde del mare che si infrangono sul bagnasciuga: non c'è niente di più rilassante al mondo. 

"Ti fa ancora male la guancia?", chiedo indicando con un dito la zona sul suo viso che è appena stata tartassata dal tatuatore, giusto per fare conversazione.

"Non più", ammette scrollando le spalle con tranquillità: "Però mentre mi ficcava l'ago sottopelle soffrivo come un cane, cazzo".

"Non l'avrei mai detto, sembravi super a tuo agio".

Lui abbassa la testa verso la sabbia e trattiene un sorrisetto: "Baby, sono bravo a fingere che sia tutto okay nonostante il dolore".

Tra noi cala un silenzio piuttosto imbarazzante, colmato da qualche sorso di birra e da qualche tiro di erba. La sua frase mi ha spiazzata: è chiaro che non si stava riferendo al tatuaggio ma che fosse invece una constatazione generale.

"Che ne pensa tua madre?", gli chiedo d'impeto, senza nemmeno pensarci, solo per cercare di dare un tono diverso alla conversazione. Se avessi contato fino a tre prima di aprire bocca, probabilmente non avrei mai osato sbilanciarmi tanto e fargli una domanda così personale.

Lui solleva il capo confuso e mi guarda con le sopracciglia aggrottate: "Eh?".

"Cosa dice tua mamma dei tatuaggi sul viso, della musica e del resto?", chiarisco con un sorriso mentre lui mi passa finalmente la canna. Gli sfioro inavvertitamente le dita e cerco di ignorare l'improvvisa morsa allo stomaco che sto sentendo: l'ultima volta che le nostre mani si sono incontrate, eravamo sulla mia auto e siamo finiti per scopare in uno schifoso parcheggio a bordo della strada.

LET ME BLEED // LIL PEEPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora