C'era una visione... Un sogno che ebbe una volta e si ripeté notte dopo notte. Quella non fu da meno.
L'immagine era sempre la stessa: vedeva il proprio viso in un paio di occhi. Erano occhi strani per essere umani o anche elfici. Le pupille erano assottigliate come quelle di un gatto alla luce del sole. E le iridi erano... arancioni. Ma non arancioni come un occhio marrone al tramonto: arancioni tali e quali al fuoco.
Non chiese loro mai niente. Aveva la sensazione che ci fosse una domanda giusta da porre ma ancora non gli veniva in mente...
Quando aprì gli occhi, davanti a sé non c'erano due iridi fiammeggianti ma un paio di palpebre pallide e chiuse. Il ricordo della notte precedente si manifestò come un mal di testa che pulsava da una tempia all'altra.
Si tirò su a sedere e premette il palmo della mano contro la fronte, mugolando infastidito. In più scoprì di avere urgenza di urinare. Mica si accompagnava con l'acqua il formaggio stagionato, pensò con una voce che non era sua. Quindi di chi era?
Un altro problema era che aveva troppo freddo per andare alla latrina: era nudo. Completamente, constatò quando toccò con un piede il pavimento ghiacciato. Sobbalzò e lo ricacciò sotto il lenzuolo.
Si sarebbe potuto rivestire ma non aveva idea di dove fossero finiti i suoi calzini. Pazienza, pensò, camminerò in punta di piedi.
Sporse il busto in avanti e alla fine del letto trovò un paio di brache e una camicia. Le brache gli stavano, ma la camicia non era di quelle fatte su misura per lui, ma per un corpo più corto e largo del suo. Comunque gli stava, poteva andare.
Una camicia dalla taglia sbagliata era l'ultimo dei suoi problemi: il primo era poggiare i piedi sul pavimento senza balzare di dieci metri per il freddo.
Soffiò un sospiro sperando di cacciare fuori anche la paura e tenere dentro il coraggio. Sporse le gambe fuori dal letto. Lentamente, con tutta la calma del mondo, toccò la trave in legno con l'alluce. Bastò a diffondere un brivido per tutto il suo corpo.
Nel freddo riuscì a distinguere una mano calda che gli prendeva il braccio.
«Scappate?»
Luka lo guardò rivolgendogli un sopracciglio inarcato.
«Ci diamo del voi, adesso?»
«Temo di essere stato poco garbato stanotte» ridacchiò.
«Non mi sono offeso» scherzò. Portò su le gambe e ne piegò una contro il petto. «Non scappavo: volevo andare alla latrina. Ma non trovo i calzini e il pavimento sembra una pista da pattinaggio.»
Falchi gli lasciò il braccio e infilò la mano sotto il cuscino.
«Allora resta. Finché non ti scaldi: stai tremando.»
I suoi occhi erano blu, non arancioni. Li aveva visti troppe volte, nelle sue visioni e nel buio di quella notte, per averne la più piccola ombra di dubbio.
«Ogni vostro desiderio è un ordine, tenente.» Giocosamente, gli rivolse il saluto militare. Luka tornò sdraiato. Si chiese se potesse avvicinarsi, magari toccarlo così da avere la certezza che non fosse un sogno. «Tu sai dove sono?»
«Credo sotto il letto. Con il mio bracciale.» Gli toccò la spalla ma lo fece irrigidire. Quindi si indicò il petto. «Avvicinati tu.»
Falchi tenne la protesi sollevata mentre Luka ci infilava il braccio sotto.
Non ne uscì completamente illeso da quell'impresa di undici anni prima: come lui si prese la sua vita, il drago acquatico si prese il suo braccio. L'arto mancante fu sostituito da una protesi in ferro che muoveva come fosse stata vera e tutti gli abiti e l'armatura vennero riadattati. Infatti, la spalla sinistra di Luka rimaneva scoperta.
Facendolo poggiare piano e con delicatezza, riuscì ad abituarsi al freddo del metallo.
«Lo muovi grazie alla magia?»
«Non è magia, ma qualcosa di più potente» spiegò. «La chiamano tecnologia: è collegata ai miei nervi.»
Così dicendo si toccò il petto. Quella era un'epoca in cui si credeva che i nervi partissero dal cuore. Nel futuro, vide Luka, si ipotizzava che originassero invece dal cervello. Ma lui stesso poco ci credeva: d'altronde aveva il batticuore, non il batticervello a stare tra le braccia della sua cotta adolescenziale ed era stato un cuor di leone, non un cervel di leone, mentre chiacchieravano tra le ultime coppie che ballavano ancora e gli ospiti messi a dormire dal vino, a prenderlo per mano, recarsi nella stanza e avere la pazienza di levare ogni pezzo dell'armatura fino a rivelare il corpo forte ed allenato di un guerriero.
Al cervello erano riservati i pensieri, i sentimenti e i sogni si distribuivano in tre organi: il cuore, lo stomaco e il fegato.
«Non ne ho mai sentito parlare...»
Si toccò la tempia. E il mal di testa, pensò. Al cervello erano riservati i pensieri e il mal di testa.
«Ti fa male?»
«Un po'. A te?»
«Parecchio. Mi immagino in che condizioni sia la regina dopo tutto quel vino...»
Allo stomaco era riservato quel particolare movimento che lo prese quando Falchi gli baciò la fronte.
«Ah? Come?»
«Che ore sono?» ripeté.
Luka gettò uno sguardo alle spalle: la luce che entrava dalla finestra era rosa pallida e debole.
«Appena l'alba.»
«Perfetto. Tutti ancora dormono: potremmo fare una passeggiata nei giardini reali. Ne hai voglia?»
Acconsentì all'istante. Finché l'avesse guardato con quegli occhi blu, l'avrebbe seguito fin dove gli spiriti che non prendevano posto sul Muro né erano condannati alla reincarnazione andavano.
Scese dal letto e saltellò fino alla latrina ricordandosi di quanto fosse freddo il pavimento. Si rivestirono infilando i rispettivi abiti ma fecero a meno dell'armatura in ferro, un po' in un angolo e un po' sotto il letto.
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Il Regno Di Hod'ragen
FantasyIl regno di Hod'ragen è stato innalzato sulla carcassa di un drago, ai tempi in cui questi occupavano in massa la pianura che va dalle montagne Serpentine al Mare Gorgogliante. Regine dopo re e re dopo regine hanno mosso i primi passi su quel che r...