La Volontà(2/3)

6 1 0
                                    

Falchi fu ospite a Palazzo per tutta la settimana.

Si levavano la mattina presto, ancora prima dei domestici e facevano una passeggiata lungo tutto il giardino reale, magari trovavano un posticino all'ombra dove sedersi e prima di tornare si accordavano su che scusa rifilare a chi chiedeva loro perché fossero così rossi in viso.

Ogni tanto Luka nominava Oe: diceva che il vestito portato il giorno prima era molto grazioso, oppure non valorizzava quanto doveva il figurino della cugina. In questo modo lo stomaco gli stava tranquillo e il sorriso di sua maestà Livyia si allargava ogni giorno di più.

Dopo colazione, ospiti e reali salivano in carrozza e andavano così diretti verso l'arena. Sul fronte di questa, di giorno in giorno, compariva una striscia rossa di vernice così fresca che colava fino al suono. A guardare da sotto quei tratti che in alcuni punti si attraversavano l'un l'altro, non si capiva fosse un disegno approssimativo di qualcosa o una qualche scritta in una grafia molto grossolana.

Luka, che era estraneo a qualsiasi attività relativa alla settimana del torneo, lo capiva anche meno. Quindi, il quinto giorno, toccò la spalla al suo cavaliere e gli chiese cosa dovesse significare.

Cosa che lo sorprese, il tenente sbuffò.

«Teppisti, Dake» rispose.

«Sono pericolosi?»

«No, questo no: sono probabilmente dei ragazzini. Vengono la notte e scarabocchiano sul muro parole di cui nemmeno sanno il significato, ma non hanno mai fatto nulla di concreto.» Indicò la parete con un ampio gesto del braccio. «Succede da un paio d'anni.»

«Parlate proprio come un vecchio, tenente.»

Falchi girò lo sguardo di scatto, ma non si permise di rispondere altrettanto rapidamente alla principessa del regno di Hod'ragen.

«Vostra altezza. Riferivo solo la teoria più concordata a vostro cugino, che dell'evento non è molto esperto. Se i criminali dovessero rivelarsi degli uomini adulti, anticipo le mie scuse verso la vostra persona.»

Oe distolse lo sguardo dal tenente. Sollevò il mento.

«Non mi sembra sia stato commesso alcun crimine» disse solo. Tirò il braccio della sua dama e procedettero verso l'entrata.

Invece che prendere posto, Luka disse a Falchi di prendere qualcosa da mangiare e aspettare in tribuna. La balia aveva detto fosse finalmente ora di levare le bende e voleva vedere fratello Benino per averne la certezza.

La strada per l'infermeria la conosceva: le capacità profetiche erano ancora in vacanza, ma la buona memoria gli era rimasta. Fu grazie a quella che riuscì a elencare dalla prima all'ultima profezia che aveva letto sul libro del futuro prima che questo si chiudesse con un colpo secco.

Raggiunse il luogo e trovò il monaco indaffarato con il ginocchio sbucciato di una bambina dai boccoli biondi e gli occhi pieni di lacrime. Fratello Benino riconobbe il cartomante e lo salutò con la formula che tutti i monaci erano obbligati a recitare. E ti dico ogni volta, il che in certe situazioni può risultare scomodo.

Posso raccontarti, ad esempio, caro lettore, di fratello Romino(spentosi questo inverno): dalle considerevoli abilità chirurgiche ma scarse capacità mnemoniche. Era tornato dal fronte un giovane attraversato nel petto da tre frecce Tawikij che cominciavano dal pettorale e sbucavano dalla schiena. Urgente la loro estrazione, era stato chiamato a intervenire fratello Romino che, essendo il più vecchio nella stanza, era in dovere di recitare per primo la formula di accoglienza. Ma fu come se una torcia dentro la sua testa si fosse improvvisamente spenta: si grattò la barba e il capo e mentre si sforzava più che poteva a ricordare la formula, il giovane spirò in una pozzanghera di sangue.

Il Regno Di Hod'ragenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora