7. LACRIMA ONIRICA

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Nonostante i molteplici presupposti negativi dovuti alla prima parte della giornata, Marina poté concentrarsi sui suoi progetti fino a tarda sera senza essere disturbata. La figlia di Ien aveva finito per focalizzarsi unicamente sul suo computer ed era crollata sul suo letto senza nemmeno cambiarsi. Solitamente i suoi sogni erano costellati di incubi, segno dell'influenza nefasta della dea occulta in collaborazione con Tefine, la dea del sonno, tuttavia quella notte riuscì a dormire come un sasso. Il suo riposo venne interrotto la mattina seguente da una voce dolce e dalle tonalità discretamente acute.

«Bell'addormentata, è ora di svegliarsi», la chiamò una delle sue sorellastre.

Marina aprì lentamente gli occhi per evitare di essere accecata dalla luce del sole, davanti a lei una semidea sorrideva dolcemente, «Ce l'hai fatta! Pensavo che Tefine ti avesse imprigionata.»

Michela portava i suoi quattordici anni in modo incantevole, pensò Marina. I suoi occhi verdi brillavano come gemme nascoste in una foresta lussureggiante, trasmettendo un senso di curiosità e vivacità. I capelli castani mossi le incorniciavano il viso con grazia, ondeggianti come le dolci onde del mare, e le conferivano un'aria spontanea. Indossava un abbigliamento casual, con i classici jeans che abbracciavano le gambe e una maglia grigia, adornata da una stampa del numero sette in eleganti caratteri romani. Delle cuffie azzurre poggiavano sulle sue clavicole e le circondavano il collo, segno che fosse sveglia già da tempo. Sulla punta del suo naso, infine, poggiavano un paio di occhiali con montatura in acciaio, che contribuivano a renderla una tipica figlia di Ien. Aggiungeva inoltre un tocco di maturità al suo giovane volto.

«Niente incubi stavolta, puoi chiudere le tende?»

La ragazza alzò le sopracciglia, «Ma certo!» rispose mentre si dirigeva già verso le finestre, «Scusa, non volevo accecarti.»

«Tranquilla», disse Marina alzandosi, «Piuttosto, come mai mi hai svegliata?»

La sua coinquilina si diresse verso la porta della camera e l'aprì di colpo. Sull'uscio c'era una semidea sorridente che Marina aveva imparato a conoscere molto bene.

Lo sguardo intenso era la cosa che più la contraddistingueva. I suoi occhi castani, profondi come la terra, riflettevano grande determinazione, svelando la sua anima molto coraggiosa. I capelli neri lisci e lunghi cadevano lungo la schiena come un manto, delimitando il suo viso asciutto. Indossava anche lei dei jeans aderenti e una maglia arancione scuro, con la stampa di un undici in numeri romani. Un giubbotto in pelle, con alcuni spuntoni finti in metallo, era appoggiato sulle sue spalle come se fosse un mantello. Portato da lei, più che un capo di abbigliamento, sembrava un'armatura da mostrare con fierezza. Il viso era contorto in un'espressione delusa. Avendo compiuto sedici anni, le era stato concesso di frequentare un anno all'accademia dei narcisi come esperienza "all'estero". Il periodo aveva indubbiamente arricchito la sua conoscenza, conferendole anche una prospettiva più ampia sul mondo mortale, tuttavia Lilia non si era sentita molto a suo agio. La figlia di Torari, dea della vendetta, aveva immediatamente richiesto il permesso di tornare al parco dei gigli.

«Avanti, due mesi che sono via e ti dimentichi già di me?» punzecchiò scostando con la mano i capelli color pece.

Gli occhi di Marina si illuminarono e la ragazza corse rapidamente ad abbracciare l'amica, «Lily!»

Le due semidee si strinsero a vicenda saltellando per svariati minuti. Dopo essersi staccate, Marina sorrise e guardò la sua amica. «Non pensavo che saresti tornata così presto.»

«Il parco dei gigli e Lilia Rossini. Lilia Rossini, il parco dei gigli. Siamo due cose indivisibili.» sentenziò la mora, «Sentite, facciamo così, colazione-picnic e vi racconto tutto?»

Maschere Immortali: La ProfeziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora