32. SOGNO AMMONITORIO

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Shirei riprese conoscenza con un senso di disorientamento che lo costrinse a sbattere le palpebre pesanti come il piombo. Sentì il corpo gridare di mettersi a correre, mentre un ricordo dolorante della battaglia contro i mostri riempiva la sua mente.

Solo dopo quei primi istanti realizzò di trovarsi circondato da una penombra opprimente. Non era il terreno erboso dove si era addormentato; si trovava altrove, in un luogo completamente diverso.

"Questo posto..."

Shirei riconobbe la familiarità dell'ambiente, non era la prima volta che lo visitava. Il palazzo di Rakion, il Signore dell'Abisso, lo avvolgeva con la sua oscurità fredda e tangibile.

Le pareti erano alte e scure, costruite con pietra nera che sembrava assorbire ogni traccia di luce. Le torce dorate sparse lungo il corridoio emanavano una debole fiamma color ocra, fonte della poca illuminazione, e proiettavano sinistre silhouette sui muri. L'aria era densa, carica di un'energia arcana e antica, un'eco di poteri oltre ogni comprensione mortale. Shirei si trovava all'inizio di un lungo corridoio, le cui estremità sembravano perdersi nell'oscurità infinita. Il pavimento, lastricato di marmo nero e venature dorate, risuonava sotto i suoi passi con un eco che sembrava amplificare la solitudine e il mistero del luogo. Procedette con cautela. Sentiva il peso del silenzio, rotto solo dal rumore di una distante campana e dal ticchettio incessante di un orologio. Mentre avanzava, i contorni del corridoio cominciarono a prendere forma con maggiore chiarezza. Il soffitto si sollevava in archi gotici, arricchito da vetrate colorate che, nonostante la mancanza di luce naturale, emettevano una pallida luminescenza cremisi. Al termine del corridoio, si stagliava un portone imponente. Alto e massiccio, era forgiato in un metallo oscuro.

Le porte erano incorniciate da colonne elaborate, scolpite con figure demoniache e creature dell'ombra, ognuna delle quali sembrava osservarlo con occhi vuoti e minacciosi. Il portone emanava un'aura di potere e intimidazione, come se dietro di esso si celasse qualcosa che sarebbe stato meglio non rivelare al mondo.

Il corpo di Shirei si fermò davanti al portone chiuso nonostante la sua volontà di proseguire, il cuore che batteva forte nel petto. Ogni fibra del suo essere era in allerta, il suo istinto gridava di prepararsi a qualsiasi cosa potesse accadere. Inspirò profondamente, cercando di calmare i nervi e di mettere a fuoco i suoi pensieri.

Shirei continuò a fissare il portone, il suo respiro un po' più calmo, ma il cuore ancora in tumulto. Fece per alzare la mano, ma un movimento alla sua destra lo fece voltare di scatto.

Lì, a pochi passi da lui, c'era un giovane, apparentemente intorno alla sua stessa età, che aveva già incontrato.

Il ragazzo indossava un'armatura visibilmente scomoda, i cui bordi sembravano rigidi e non adatti al suo fisico. L'armatura era di un rosa chiaro tendente all'argento, ma ornata da sottili strie dorate che correvano lungo i bordi e le giunture, disegnando intricati motivi geometrici. Le linee dorate brillavano fievolmente alla luce delle torce, aggiungendo un tocco di eleganza e mistero alla figura del giovane. I capelli del ragazzo erano neri come l'oscurità che li circondava, lisci e lunghi abbastanza da coprirgli gli occhi. Cadendo liberi sulla sua fronte, incorniciavano lineamenti delicati e attraenti.

Gli occhi di Salix, un argento liquido con una sfumatura rosa appena percettibile, erano diretti verso il portone.

Shirei si chiese cosa significasse tutto quello, realizzando che il rumore di passi udito in precedenza non fosse il suo, ma quello del figlio di Tefine.

«Salix.»

Ma il ragazzo non lo degnò d'uno sguardo, facendolo dubitare della veridicità di quella scena.

Shirei percepì un'aura di inquietudine attorno a Salix, come se il giovane stesse lottando contro qualcosa di interno, un disagio che rifletteva la scomodità dell'armatura che indossava. Tuttavia, nonostante il malessere evidente, c'era una fermezza nella sua postura.

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