48. DIVINITÀ DELL'OLTREMONDO

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La sala da pranzo era avvolta da una quiete spettrale, ogni angolo impregnato dalle magiche ombre danzanti. Alle alte finestre, tende cremisi pendevano pesanti come drappi funebri, soffocando ogni traccia di luce esterna e lasciando filtrare solo una pallida luminosità soffusa. Intorno al soffitto, fiammelle spettrali ondeggiavano in modo lento e ritmico, come anime senza pace, delineando l'intera stanza in un bagliore lattiginoso, in bilico tra la vita e la morte.

"Beh, sono probabilmente anime senza pace per davvero."

Cragar, il dio dei morti, sedeva imponente a capotavola, il suo sguardo assente e lontano. Indossava un completo nero ornato da svariati fili argentati che rendevano il vestito adatto sia a una battaglia che a una serata tra nobili. Un esempio perfetto del modo in cui la divinità appariva. I suoi capelli rossi erano tirati all'indietro e ricadevano sulle sue spalle senza impigliarsi alla sedia d'ossidiana su cui poggiava la divinità.

Accanto a lui sedeva Rutia, la dea dell'occulto e delle illusioni, si muoveva in modo estremamente pacato, con un'eleganza quasi inquietante, il viso perennemente celato da una sfilza di bende che si univano al suo cappuccio a formare una maschera stilizzata.

I due creavano un'immagine contrastante dovuta al tecnicismo delle loro maschere, una classica e dallo stile italiana, l'altra innovativa e definibile con difficoltà una maschera vera e propria.

Dalia sedeva di fronte a loro e osservava le due divinità in silenzio, avvertendo un peso opprimente da quella calma irreale, come se persino le parole fossero state pietrificate dall'atmosfera della stanza.

«Allora, Dalia, perché non racconti a me e tuo padre degli ultimi giorni che hai trascorso in superficie?»

La semidea è combattuta, «Io non credo che mio padre sarebbe interessato a cose così futili divina Rutia, quindi mi trovo costretta a rifiutare la sua gradevole offerta.»

Cragar si pulì le labbra con un fazzoletto rimanendo a occhi chiusi.

«Ti stai sbagliando, ne sono molto interessato.»

Dalia annuì in modo istantaneo e cominciò a parlare a bassa voce, quasi sussurrando, come se i ricordi del Parco dei Gigli avessero un peso insopportabile, talmente grande da farle venire l'emicrania.

"Non ho mai raccontato nulla del parco a loro, ma se mi guardano davvero allora significa che già sanno buona parte delle cose."

Parlò loro di quando passeggiava con la sua migliore amica Marina, di come il tempo sembrava fermarsi tra i fiori e le risate. Ma quella serenità appariva ormai lontana, come un sogno che si sfilaccia all'alba. Cragar sembrava molto interessato al racconto, al punto da farle varie domande su Marina.

«Sei al corrente della sua situazione familiare?»

«Sì, anche se evita spesso di parlarne. Marina, però, non è come gli altri. Al mio tempo, i nobili trattavano tutti con sufficienza e disprezzo. Lei è gentile e premurosa con me, con tutti a dire il vero.»

Rutia rise, «L'abbiamo notato, Cragar mi parlava di come si fosse avvicinata a Shirei.»

«È stato strano anche per me», mormorò, con un sorriso spento, gli occhi fissi sul bicchiere di fronte a sé.

Avendo accennato l'argomento, cominciò poi a parlare del suo fratellastro.

«Non vedo Shirei da chissà quanto, non l'ho nemmeno salutato quando è partito due settimane fa con i Fiori d'Equinozio... una missione che sarebbe dovuta durare pochi giorni.»

La sua voce tradiva una nota di preoccupazione, soffocata appena dal senso di colpa. «Invece non è ancora tornato.»

Abbassò lo sguardo, un'ombra malinconica le attraversò il viso, mentre con un tono quasi impercettibile aggiunse: «Spero stia bene.»

Maschere Immortali: La ProfeziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora