43. NADIM IL LEONE

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Havel continuava a colpire in modo frenetico la parete crollata con le mani sanguinanti e le nocche lacerate. La sua voce, spezzata a causa delle sue grida, echeggiava nel corridoio mentre chiamava disperatamente il nome di Shirei. Ada era accasciata contro il muro opposto, i suoi occhi erano ancora persi nel vuoto, ma sembrava aver riacquistato un certo grado di lucidità.

«Dannazione, Shirei!» urlò il figlio di Sidal, ogni colpo accompagnato da un grugnito di dolore e frustrazione. «Non puoi fare questo! Non puoi sacrificarti così! Idiota! Hai detto che i tuoi poteri non funzionano!»

Improvvisamente, un ruggito potente e primordiale fece tremare l'intero edificio, sovrastando persino il frastuono dall'altra parte della parete. Havel si immobilizzò, il sangue che gli si gelava nelle vene.

Ada, come risvegliata, alzò lo sguardo e incontrò quello del biondo, il terrore evidente nei suoi occhi grigi.

«Il leone...» sussurrò, la voce appena udibile. «È il leone, vuole che lo raggiungiamo. È stanco di aspettare.»

L'aria si fece pesante, carica di una tensione palpabile. Le ombre sembrarono allungarsi, danzando minacciosamente sulle pareti del corridoio. Il silenzio che seguì non fu per nulla rassicurante, rotto solo dal lontano eco della battaglia di Shirei e dal respiro dei due semidei.

Poi, lentamente, i due semidei si incamminarono in direzione della sala con l'altare. I passi pesanti di Havel risuonarono nel corridoio, mentre trascinava Ada dietro di sé. La semidea non era d'accordo e si opponeva in silenzio.

Havel si voltò, posizionandosi istintivamente davanti a lei.

«Lo so, ok? Lo so che hai paura, Ada. So che sei spaventata» strinse il suo avambraccio con forza, «Ma non risolveremo nulla stando qui! Shirei si è bloccato lì per farci scappare! Quell'idiota...»

Non riuscì a terminare la frase a causa della rabbia crescente.

«Dobbiamo agire e togliere questo leone da mezzo.»

Ada non sembrò convinta, ma non rispose. Havel si girò di nuovo e continuò ad avanzare, senza guardarla aggiunse: «Lascia fare a me, Ada. Nessuno può battermi quando c'è la vita dei miei compagni in pericolo.»

Era una bugia, anche il figlio di Sidal lo sapeva, ma era ciò che la semidea aveva bisogno di sentirsi dire in quel momento, quindi Havel ci avrebbe creduto per lei.

Lui era imbattibile.

I due proseguirono lungo il corridoio, mentre una strana vibrazione percorreva l'aria. Il pavimento freddo e umido sotto i loro piedi contribuiva a insinuare in loro la sensazione che ogni passo compiuto li stesse portando più vicini alla fonte del loro malevolo problema. Il corridoio cominciava a sembrare sempre più stretto attorno a loro. Le pareti pulsavano in modo impercettibile e l'oscurità all'interno delle fessure divenne viva, come se li stesse osservando.

Arrivarono finalmente alla sala dell'altare.

«Stai all'erta», disse Havel a bassa voce, senza voltarsi, ma la presa ancora stretta al braccio dell'amica mostrava la sua prontezza.

Non c'era bisogno di dirlo; Ada lo sapeva meglio di lui, anche se la paura la inibiva del tutto.

La luce azzurra dei tralci di oscurità che si arrampicavano lungo le colonne creava un'atmosfera spettrale, riflettendosi negli occhi della figlia di Rutia e illuminando in modo fievole sia il volto teso di Havel che l'ambiente nei dintorni. Ogni volta che superavano una delle torri di pietra, quest'ultima sembrava infestata da quel male crescente. L'energia negativa che permeava l'aria si faceva sempre più densa, quasi soffocante.

Maschere Immortali: La ProfeziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora