29. "Un paio di labbra diverse"

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L'alcool è da sempre il modo peggiore per affrontare una difficoltà, e questo Andrea lo sa bene.
È a conoscenza delle azioni stupide che qualche bicchiere di troppo ti porta a compiere, della mancanza di lucidità e delle conseguenze poco piacevoli di ogni sbronza, eppure quando si trova davanti ad un muro, troppo impaurito per scalarlo e superarlo, si butta sempre sulla finta serenità che solo l'essere ubriaco sa donargli.

È pomeriggio inoltrato, o forse è addirittura sera, non lo sa bene.
Vede tutto sfocato e, nello stato in cui si trova, distinguere i contorni del suo orologio nella penombra di quel bar gli sembra un'impresa quasi impossibile.

Con uno sbuffo sonoro si alza in piedi e strizza gli occhi, maledicendosi per essersi cacciato in quella situazione un'altra volta e, soprattutto, per non aver ancora portato a termine l'unico compito che aveva per quella giornata.
Un compito che, in questo momento della sua vita, doveva essere una cosa naturale, automatica.

Bastava salire in macchina e raggiungere in pochi minuti l'appartamento di Rebecca: due parole per scusarsi, una spiegazione approssimativa dei sentimenti che prova nei confronti di Niccolò, forse qualche intralcio da parte sua, e niente di più.
Sarebbe finita, e lui si sarebbe sentito finalmente libero.

E invece, d'accordo con la sua solita abitudine di complicarsi la vita, si ritrova intrappolato in un sudicio locale di periferia, con i pensieri annebbiati dal vino ed un continuo "ancora cinque minuti, poi vado" che gli rimbomba in testa, come un mantra.

Non sa di che cosa ha paura, non sa perché abbia avuto bisogno di ridursi così prima di riuscire ad alzarsi, uscire e mettere in moto l'auto, soprattutto quando le sue idee sul futuro sono ben chiare, nitide come non mai.
Vuole stare con Niccolò, e il resto non dovrebbe avere alcuna importanza.

Dopo aver parcheggiato ad un paio di isolati dal palazzo della castana che decide di allungare ancora un po' la strada, per camminare qualche minuto in più e riacquistare un aspetto per lo meno accettabile.
È quasi un anno che non prova più niente per Rebecca, ma, nonostante questo, non è ancora riuscito a liberarsi dal peso che quella relazione sbagliata gli porta addosso, ogni singolo giorno.

Senza avere il tempo di scappare ancora Andrea si ritrova impalato davanti alla porta di casa di Rebecca, con le mani sudate e un dito premuto sul campanello.

"Ciao"
dice a bassa voce, schiarendosi la gola ed obbligandosi ad alzare lo sguardo in quello della ragazza che gli ha appena aperto.

"Ciao..entra, dai"
risponde lei salutandolo con un cenno del capo, per poi farsi di lato e comprendere al volo che di sobrio, in quel ragazzo che cammina barcollando fino al soggiorno, non c'è proprio niente.

"Hai bisogno qualcosa?"
domanda poi richiudendosi la porta alle spalle, mentre un pensiero le attraversa la mente e si ferma lì, reso molto meno impossibile dalle condizioni di Andrea.

"No, io..a dire la verità dovrei parlarti"
comincia a dire Andrea, soffermandosi su ogni sillaba e cercando con tutto sé stesso di continuare, mentre Rebecca lo guarda con un sorriso pieno di malizia sulle labbra.

"Non qui..andiamo di là"
aggiunge poi lui senza accorgersene, ignaro delle intenzioni della castana e più concentrato a mettere due parole in fila, piuttosto che a notare di essere quasi intrappolato tra il muro e il corpo di lei.

Se ne rende conto solo quando sente i suoi capelli venire leggermente tirati all'indietro, facendolo sobbalzare.

"Rebè, ch-"
comincia a dire tentando di spingerla via, ma viene subito zittito da un paio di labbra che si posano sulle sue, senza dargli il tempo di reagire.

Quel bacio è più che legittimo da parte di una persona che crede ancora che ci sia ancora qualcosa tra di loro, e basterebbe semplicemente tirarsi indietro per evitare ogni cosa.
Andrea, però, non ci riesce.
Dopo tutto quello che ha bevuto non ha né la forza né la lucidità necessarie per opporsi, nemmeno quando sente una mano fredda intrufolarsi sotto la sua maglietta, cercando di sfilarla.

A quel gesto improvviso il biondo avverte subito l'alcool che tutto di un colpo gli dà alla testa - forse in un disperato tentativo di distrarlo e di tirarlo fuori dai guai - e sa già in anticipo che non potrà fare nulla per impedire quello che sta per succedere.
Nell'accorgersi del sapore di un paio di labbra diverse che inumidiscono le sue un violento giramento di testa lo coglie di sorpresa, costringendolo ad aggrapparsi alla castana e a darle, seppur inconsciamente, la terribile conferma di poter continuare quello che ha iniziato.

Ogni singola azione gli fa salire alla bocca un sapore acido, dettato dalla ripugnanza che prova verso quello che sta facendo, ma, nonostante questo, si ritrova inevitabilmente attratto dal suo corpo.
Gli sembra di essersi trasformato in una piccola ed insignificante scheggia di metallo che, tra un bacio ed una carezza troppo spinta, viene trascinato e scortato da una calamita verso la camera da letto, nonostante i suoi disperati sforzi contrari.

A momenti di totale confusione, in cui si lascia guidare da quelle mani che gli scorrono lungo la schiena e che lentamente lo svestono del tutto, si alternano piccoli sprazzi di coscienza, durante i quali cerca di allontanarsi e di spingerla via, ma senza riuscirci.
E poi, dall'istante in cui la sua schiena nuda sfiora le lenzuola, il buio più totale.

È un po' come se la sua coscienza lo abbia abbandonato per tutto il tempo in cui ha distrutto la promessa fatta a Niccolò, per non dover assistere a quello spettacolo che di romantico o di voluto non ha nulla, raggiungendolo soltanto  qualche ora dopo, a danno fatto.
Andrea non si rende conto di niente, nemmeno del dettaglio più banale.

Non prende coscienza dei suoi gesti nemmeno quando si accascia sul materasso e rifiuta senza saperlo un tenero abbraccio della castana, per poi cadere addormentato nel giro di pochi secondi, stroncato dalla fatica appena provata e dalla sbronza, che è ancora ben presente in lui.

~~~~~~

Quando torna in sé, è già l'alba.
Un dolore lancinante alle tempie ed un ronzio fastidioso che sembra essere da tutte le parti lo costringono a sedersi sulle lenzuola e a prendersi la testa tra le mani, non prima di aver gettato uno sguardo annebbiato al luogo in cui si trova.
A primo impatto si convince di essere a casa sua, ma solo per poco.

La luce rosata che filtra dalle tende, tende che lui non ha mai avuto.
Un profumo intenso che stride con la sua opposizione a qualunque tipo di odore al di fuori del bagnoschiuma.
E poi quel rumore insopportabile che non è altro che l'acqua di una doccia che scorre, oltre la porta chiusa di un bagno che non è il suo.
Questa non è casa sua.

Una volta resosi conto di essere in pericolo, nonostante sia ancora troppo stordito per stare a pensare alle azioni di quella notte, si alza di scatto ed indossa alcuni dei vestiti gettati alla rinfusa sul pavimento, per poi scappare il più in fretta possibile da lì.

Una volta raggiunto il marciapiede si appoggia al portone e si aggrappa ad esso, per poi accasciarsi a terra e stringere i denti, nel disperato tentativo di non rigettare tutto l'alcool che ha ingerito la sera prima.
Con le mani che tremano si tasta i pantaloni ed estrae il telefono dalla tasca, attendendo con pazienza che il nero dello schermo lasci spazio all'orario, l'unica cosa che in questo momento gli interessa davvero.

E un'eternità di secondi dopo, ecco che dei numeri sfocati appaiono sullo display: le sei del mattino.
E poco più in alto, una miriade di chiamate perse, tutte con un unico mittente: "Nic".
Andrea resta a fissare quelle tre lettere per un po', mentre le immagini di quella notte gli passano davanti agli occhi come in un film, un film terribile del quale si accorge, con orrore, di essere stato l'attore protagonista.

Il panico provato nel ritrovarsi in una casa non sua gli aveva offuscato qualunque altro pensiero, ma ora tutto è più chiaro che mai.

"Nic".

Lo ha tradito, e non se n'è nemmeno reso conto.

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