6. "Nel dubbio non smettere mai, no?"

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Il letto sfatto, le coperte e i cuscini buttate all'aria, i poster sulle pareti, mille libri mai letti e mille fogli sparsi sul pavimento.
Questa è la camera da letto di Niccolò e, bene o male, potrebbe essere la stanza di un ragazzo qualunque.

Quel posto in cui ognuno può abbassare la maschera che tiene tirata sul viso durante il giorno, quel posto in cui, non appena giri la chiave nella serratura, ti accoglie così come sei, osservando in silenzio tutte le lacrime e i sorrisi che sai dare.

E sono proprio le pareti della camera di Niccolò che ora, con tutta la pazienza del mondo, stanno assistendo all'ennesimo attacco di panico del moro.

È sdraiato a terra, con la maglia fradicia e appiccicata al petto, un peso enorme che gli preme sullo sterno, i brividi e il dolore alle tempie accentuato dai battiti cardiaci, che rendono il tutto estremamente rumoroso dentro, quando poi, fuori, non si avverte il minimo suono.

Tutto questo perché?
Per un evento stupido e insignificante, ma al quale lui - che da un po' di tempo vive sfiorando continuamente il limite oltre al quale non può far altro che crollare - ha dato fin troppa importanza: non trova più il suo quaderno.
Lo ha cercato ovunque, è tornato un paio di volte al cortile, ma non c'era più.

Ha una mezza idea di chi possa averlo preso e, per quanto quel ragazzo non gli avesse fatto né caldo né freddo, l'idea che possa aver letto ogni cosa non gli va giù, così come non riesce ad accettare l'aver smarrito le sue canzoni e i suoi pensieri per una sua stupida distrazione.
Ecco, come sempre la colpa è stata soltanto sua.

Probabilmente da fuori può sembrare che il moro si stia facendo fin troppi problemi, e forse è proprio così, ma non può farci molto.
Si sente come un filo d'erba.
Resiste per mesi al vento, alla pioggia e alla grandine, si piega ma non si spezza mai, e poi basta un evento stupidissimo per mandare tutto all'aria, per romperlo, per farlo crollare.

Non sa bene di cosa abbia bisogno in momenti del genere, ma di sicuro non stare sdraiato sul pavimento, al freddo, da solo: forse vorrebbe qualcuno disposto a tirarlo su, a rassicurarlo e a fargli capire che, qualsiasi cosa sia successa, si sistemerà tutto.

Non ha nessuno, nessuno tranne quelle maledettissime pastiglie.
Non avendo molta scelta si alza da terra barcollando, mentre cerca in tutti i modi di mandare giù il magone che gli si è formato in gola e di trattenere le lacrime.

"Vaffanculo a me"
sbotta con un filo di voce, per poi cominciare quella specie di rituale che odia con tutto se stesso ma che, allo stesso tempo, è una delle poche cose che lo fanno andare avanti.

Pastiglia, sorso d'acqua, imprecazione.
Pastiglia, sorso d'acqua, imprecazione.
Sempre così.
E sempre peggio.

~~~~~~

All'uscita da scuola c'è sempre un gran trambusto: ragazzi e ragazze che parlano, ridono, litigano e scherzano senza pensare per un attimo a qualsiasi cosa sia successa in quella giornata, bella o brutta che sia.

Andrea osserva tutto questo da lontano, mentre con gli occhi cerca un cappuccio nero, un paio di occhiali da sole, uno sguardo basso.
Non lo conosce, non sa nulla di lui, ma paradossalmente sente di conoscerlo da sempre (forse l'aver letto e riletto il quaderno ha fatto la sua parte) ed è convinto di dover cercare quei dettagli tra la folla.

Poco dopo, infatti, lo vede farsi spazio tra un gruppo di ragazzi, che però lo chiamano, obbligandolo a voltarsi verso di loro.

"A regà, guardate chi è tornato!"

dice un ragazzo rivolgendosi ai suoi compagni, indicando Niccolò con un cenno del capo.

Quest'ultimo finge di non aver sentito e cerca di andarsene da lì, ma non ci riesce.

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