46. "Abbi cura di te"

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4 mesi dopo

Niccolò vorrebbe soltanto riuscire a dormire, ma la notte lo vuole con sé.
La solitudine quasi autoimposta e il vuoto nel petto lo tengono sveglio per ore intere, obbligandolo a crollare sul divano durante il giorno, nei momenti peggiori.

Quando il sole se ne va comincia a sentire freddo, mentre la nostalgia gli si muove dentro, sempre più forte.

Non riesce a credere che siano passati solo quattro mesi da quando ha guardato Andrea uscire dall'aula del tribunale in manette, con una condanna da un anno a gravargli sulle spalle.

Non dimenticherà mai lo sguardo colpevole e disperato che il biondo gli ha dedicato, prima di superare quella porta scura e sparire definitivamente dalle sue giornate.
Quegli occhi lo tormentano ogni singolo giorno, ma sono diventati uno dei pochi ricordi a cui aggrapparsi quando, la sera, gli manca il respiro.
Nonostante fossero spenti e lucidi, restano sempre gli stessi che lo hanno fatto innamorare.

In silenzio Niccolò esce di casa e si siede in giardino, con i piedi scalzi appoggiati nell'erba.
Si accende una sigaretta e inspira profondamente, con lo sguardo rivolto al nulla di fronte a lui.
Il fumo gli brucia gli occhi, ma non gli importa.
La cose che lo fanno soffrire, in questo momento, sono ben altre.

Sa che ormai con Andrea è finita, ma non se lo sono mai detti in faccia.
Oltre al litigio e quell'ultimo, terribile sguardo, non hanno mai messo un punto alla loro relazione, e questo dà al moro la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso.

Ne ha parlato con Gabriele durante uno dei suoi sfoghi notturni, e i suoi consigli, anche se al momento lo hanno spaventato, adesso sembrano essere i più giusti da seguire.
Deve lasciarlo andare.
Deve dirgli chiaramente che, tra di loro, non c'è più nulla da sistemare, e poi mollare la presa.

Non ha alcun senso stringere tra le mani qualcosa che, anche tra otto lunghissimi mesi, sarà irrecuperabile.

~~~~~~

La vita in cella è un circolo infinito di sensi di colpa, che ormai ad Andrea hanno dato alla testa.

Si sveglia, butta giù qualcosa a colazione, resta in cella in silenzio tutta la mattina, ignora completamente il pranzo, fa i conti con il senso di vuoto e, la maggior parte delle volte, non riesce a dormire.

Sono quattro mesi che vive così, che rivive ogni giorno lo stesso giorno.
E per quanto lui si imponga di essere forte, la semplice idea di non essere nemmeno a metà condanna gli fa salire una grandissima e sbagliatissima voglia di far cessare tutto.

L'unico pensiero che lo trattiene dall'ascoltare le voci sempre più insistenti nella sua testa, è Niccolò.
Anche se c'è una minuscola, infima possibilità di riavere la felicità che solo lui sa donargli, allora deve resistere.

Passa le giornate a pensare a lui, incessantemente.
Osserva quella foto che Adriano gli ha portato, fino ad impararla a memoria.
Ogni singolo dettaglio, la luce negli occhi di Niccolò, le sue mani strette attorno alla sua vita, i loro sorrisi indelebili.

E poi si immagina cosa potrebbe fare il moro senza di lui.
Cosa pensa, cosa dice, cosa mangia, cosa guarda alla TV quando di sera, dopo cena, si sdraia sul divano con i piedi in alto e la testa appoggiata al loro cuscino blu.

Un rumore improvviso di chiavi lo fa sobbalzare, svegliandolo da quello stato di semi incoscienza in cui era caduto.

Il solito poliziotto di ronda apre la cella e gli fa cenno di alzarsi, per potergli mettere le manette.

"C'è una telefonata per te. Vieni."

Andrea è confuso, ma esegue gli ordini senza fiatare.
Nessuno lo ha mai chiamato fino ad ora, nemmeno suo fratello.

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