31. "Dovevi dimostrarmi di volere solo me"

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"Andrea! André!"
Niccolò sta bussando da quasi dieci minuti alla porta del biondo, chiamandolo e sperando che lasci perdere l'orgoglio - o qualunque altra cosa gli impedisca di comportarsi normalmente - e gli apra la porta.

"Lo so che sei qua, c'è la macchina giù. Fammi entrare, dai"
aggiunge poi sbuffando e passandosi una mano tra i capelli, avvertendo chiaramente la presenza di Andrea dall'altra parte del muro ma senza sapere che è lì, con una mano a mezz'aria e le lacrime agli occhi, troppo indeciso per riuscire ad aprire.

Sa benissimo che così facendo non risolverà nulla, così come sa che se rivedrà gli occhi che ama carichi di paura, paura di perderlo, non potrà fare altro che ammettere ogni cosa.

Ci pensa, continua a pensarci per un altro minuto mentre la voce spazientita di Niccolò fa da sottofondo alla sua inquietudine, ma, alla fine, vince quella parte di lui che non riesce più a vivere così.

"Vieni."
lo invita Andrea aprendo di poco la porta, con la voce roca e bassa per il non parlare, rivelando a Niccolò uno spettacolo che, in fondo, sperava di non dover mai vedere.

Il suo sguardo, inevitabilmente, si posa subito sul suo corpo, coperto dalla stessa maglia di due giorni prima, e sul suo viso, stanco e provato come non l'ha mai visto.

E se qualcuno non fosse ancora riuscito ad indovinare le condizioni del biondo, ecco che le serrande chiuse nonostante fuori splenda il sole, l'odore di alcool che ti assale subito e le svariate bottiglie vuote sul pavimento arrivano a confermare anche i timori degli sguardi meno attenti.

"Basta con queste."
ordina Niccolò categorico, cercando di mostrarsi forte davanti ad una scena che gli annoda lo stomaco e gli fa venire solo voglia di stringere Andrea in un abbraccio, per poi strappargli l'ennesima lattina di birra dalle mani e svuotarla nel lavandino.

Il biondo non si oppone, non ne ha né il motivo né la forza.

Senza riuscire ad aprire bocca osserva il suo ragazzo che si guarda attorno, notando subito le rughe di preoccupazione che gli compaiono sulla fronte e l'ombra di senso di colpa che si abbassa sui suoi occhi, ma sa di non poter fare nulla per impedirlo. Qualunque cosa dirà o farà, servirà solo a peggiorare le cose.

"Dimmi cosa c'è Andrea."
mormora Niccolò avvicinandosi a lui, per poi posare una mano sulla sua guancia e l'altra tra i suoi capelli, sperando di tranquillizzarlo ma ottenendo, senza capirne perché, l'effetto contrario.

"So che forse sono stato frettoloso, che non avr-"
comincia a dire, spaventato da quella reazione e staccandosi da lui, senza però avere modo di completare la frase.

"Non è quello."
nega infatti Andrea a bassa voce, realizzando lentamente che quelle parole lo stanno portando al punto di non ritorno, al momento in cui, volente o nolente, dovrà farsi coraggio e confessare tutto a Niccolò.

Non ha più senso mentire, non se convivere con quella bugia significa sentirsi morire.

"Allora cosa c'è André?"
domanda nuovamente il moro, cominciando a camminare avanti e indietro per sfogare il nervoso e l'agitazione che, per i suoi gusti, si sono fatti decisamente troppo insistenti.

"Se non te la senti di andare avanti a me va bene. Però dimmelo, ti prego."

"Io voglio."
lo contraddice subito Andrea, troppo allarmato dalla semplice idea che Niccolò pensi di non essere più desiderato da lui per stare a pensare alle sue parole.

"È che..che non posso."
cerca di correggersi qualche istante più tardi, esortato dallo sguardo confuso ed interrogativo del moro.

"Non puoi?"
ripete Niccolò aggrottando le sopracciglia e avvicinandosi di qualche passo a lui, perplesso.

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