Capitolo 11

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Apro gli occhi di scatto risvegliandomi dal quello che deve essere stato un incubo. Ricordo poco, c'era mio padre con mia madre, ma entrambi non erano in loro, mi cacciarono di casa, dicendo che ciò che gli era accaduto era per colpa mia, e che dovevo solo sparire e non tornare mai più. E' stato spaventoso, orribile a dir poco.

Mi spavento ancora di più non riconoscendo dove mi trovo, la stanza non è mia, è tutta rosa con un soffitto bianco. C'è solo un letto a due piazze e c'è una grande scrivania di legno con sopra vari libri, quaderni, astucci, penne, matite, con un computer che è il mio e anche la mia borsa sulla sedia bianca anch'essa di legno. Sul comodino c'è un orologio che segna le 7.30.

Merda sono in ritardo. Che novità eh!

Vedo la valigia buttata sul pavimento, e adesso mi rendo conto di quanto sia scema. Sono a casa di Katrine, ieri ho cenato qui e sono rimasta a dormire, sia lei sia la madre mi hanno offerto di restare qui fin quando papà non torna a casa e le loro offerte sottintendono 'tu resti qui e basta', quindi eccomi qui.

Mi alzo di scatto dal letto visto che sono passati già due minuti. Prendo i vestiti di corsa e mi metto una gonna nera a pieghe e una maglietta bianca. Mi sistemo i capelli in una coda alta e vado in bagno. Lavo velocemente i denti e sciacquo il volto, mi guardo allo specchio e quasi non mi riconosco.

Ho gli occhi segnati da grandi occhiaie viola, mentre il loro colore sembra essersi spento per le troppe lacrime versate e le labbra sono secche.

Sbuffo ed esco dal bagno. Incrocio Katrine che sembra essersi appena svegliata, ma lo sa che siamo in ritardo?

"Buongiorno" dice strofinandosi gli occhi e sbadigliando.

"Ehm..Katrine lo sai che sono le 7.45?" domando.

Lei spalanca gli occhi e li sposta sul suo orologio, che segna le 7.15.

Aspetta COSA?!

Indica l'orologio appeso al muro, è impossibile, no il mio rida le 7.45.

Lo guardo attentamente. Sono davvero le 7.15.

"Ma come è possibile?" domando ancora allibita.

"Oh, ehm, vedi l'orologio della tua camera è possibile che vada mezz'ora avanti" risponde grattandosi la nuca.

Non ci posso credere, potevo dormire per un altra mezz'ora e invece, grrrrr, che nervoso.

Mi butto sul letto e prendo il telefono, ho una chiamata persa da Julie.

"Julie" dico appena risponde.

"Bee, come stai? Katrine mi ha detto che stai da lei" si sente un tonfo dall'altro capo, sarà lo zaino che le è caduto. La solita sbadata.

"Si, sono da lei, fino a quando mio padre non si sveglia" dico.

"Senti Bee, io non voglio demoralizzarti di più di quanto tu non lo sia ora, ma sai non c'è niente di certo" dice sussurrando.

"Lui si sveglierà!" dico e chiudo la chiamata.

Fantastico modo di cominciare la giornata eh?

Appena Katrine è pronta usciamo di casa. Un aria pungente ci trapassa i vestiti facendoci venire la pelle d'oca, mentre i nostri capelli non stanno fermi un attimo, menomale che ho fatto la coda.

Arriviamo alla fermata dell'autobus e aspettiamo Julie. che arriva proprio nell'istante in cui le porte si aprono, entriamo tutte e vado verso il mio posto.

Occupato, da chi? indovinate?

Lui, cappuccio nero, cuffiette nelle orecchie, jeans e sneakers. Ma lo varia un po' l'outfit?

Non sono proprio in vena di mettermi a litigare, quindi occupo il posto dietro, pensando che questo ragazzo un giorno è gentile e diecimila no. Ha anche alzato i suoi favolosi occhi azzurri per guardarmi, eppure dopo li ha riabbassati sul telefono senza farsi una piega. Che urto!

Appena varchiamo la soglia della scuola nell'aria c'è qualcosa di diverso. Non lo so, sarà solo una mia sensazione.

Con Julie e Katrine raggiungiamo le nostre classi.

"Che avete ora?" domando.

"Greco" sbuffa Katrine.

"Io inglese" dice Julie.

"Anch'io" dico sorridente, almeno non devo essere l'unica a dormire in classe.

"Vabbè ci vediamo dopo" diciamo io e Julie a Katrine, perché le lezioni sarebbero iniziate da lì a pochi minuti.

Entriamo in classe e non c'è praticamente nessuno. Strano.

"Era sciopero oggi?" chiedo a Julie che poggio il suo zaino sul banco.

"No, almeno da quello che so io" risponde lei scuotendo la testa.

Poco dopo entra in classe un ragazzo, appena lo vedo i miei occhi brillano. Ma cosa ci fa qui?

Dave. Il mio migliore amico. Ha lasciato questo liceo l'anno scorso perché i suoi genitori si sono dovuti trasferire a Miami per lavoro, ma siamo sempre rimasti in contatto. Apparte gli ultimi mesi che non ci siamo sentiti quasi per niente. Lui è alto, riccio moro e ha gli occhi scuri. E' magro e porta gli occhiali. Appena mi vede mi corre incontro e mi abbraccia, sollevandomi da terra.

Gli do un bacio sulla guancia e mi mette giù.

"Dave, che ci fai qui?" domando. Mi sento un po' bassa rispetto a lui.

"Bee, quanto mi sei mancata" dice dandomi un bacio sulla guancia.

"Anche tu"

"I miei genitori sono stati spostati di nuovo, grazie a Dio ci è andata bene, torno qui" dice con gli occhi che brillano.

"Wow, ma è fantastico" sorrido estasiata da questa favolosa notizia. Lo abbraccio e lui sembra non volermi lasciare visto che stringe il mio esile corpo tra le sue braccia. Quanto mi è mancato, cavoli.

Finalmente riesco a sentirlo un altra volta con me, fin da quando siamo piccoli abbiamo condiviso ogni momento della nostra vita e averlo lontano per un anno non è stato semplice, ma ora che è tornato qui e lo sto stringendo un'altra volta tra le mie braccia mi sembra ancora più bello come se qualcosa che avessi sognato da tantissimo tempo diventasse finalmente reale e ti rendesse la persona più felice dell'universo.

Adesso credo di averne la conferma. Nella vita avvengono un susseguirsi di azioni, ma anche se poche, quelle che ti rendono felici le ricorderai per sempre. E questo è l'effetto collaterale che mi ha stravolto la giornata e tra dieci, venti, trent'anni lo ricorderò, perché è ciò di cui avevo bisogno.

Effetti collaterali Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora