Capitolo 20

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Infilo il cappotto di pelliccia che mi regalò la nonna l'anno scorso a Natale e mi avvio verso l'ospedale. Con il viso ancora umido l'aria punge sul mio volto, sbatto gli occhi più volte a causa delle lacrime ancora minacciose di scendere. Mi stringo nel mio cappotto tenendomi al caldo, ormai mancano poco più di dieci giorni a Natale e fa un freddo che si gela. Arrivo in ospedale tutta infreddolita e gelata. Salgo le scale fino ad arrivare al piano di papà e quando sono davanti alla sua stanza la fisso per qualche istante per poi farmi forza e aprirla.

Un ondata di aria calda mi pervade, la stanza è uguale a ieri solo più calda, la finestra è chiusa, ma con le tende scostate, si riesce a vedere il vento che muove violentemente gli alberi, i nuvoloni che minacciano di far scendere la pioggia e il sole che si nasconde sotto questi mostra in debolezza la sua luce.

Mi avvicino al suo letto, gli prendo una mano e comincio a piangere bagnando il lenzuolo. La sua espressione è sempre ferma e questa è la cosa più triste, non poterlo vedere che sorride, che ride, che piange, che si arrabbia.

"Papà, oggi avremmo addobbato la nostra casa come ogni famiglia sta facendo, io ho aiutato nell'addobbare quella di Katie e tutto questo mi ha ricordato quando la addobbavamo insieme, mi manchi tanto, mi manca scherzare con te, mi manca farti arrabbiare per delle cavolate, mi manca pressarti sul darmi il permesso per uscire, mi manca ogni istante che passavamo insieme, dal più stupido al più significativo. E' adesso che capisco, capisco quanto tu sia essenziale nella mia vita, quando hai sempre una persona nella vita ci fai l'abitudine, la dai per scontato, dai per scontato ogni momento che passi con lei, ma è nel momento in cui questa persona non è più con te che ti rendi conto che non bisogna dare per scontato la sua presenza. E papà ti prego torna da me, torna qui, svegliati. apri gli occhi e mostrami le tue iridi scure bellissime. Voglio tornare a fare con te tutto quello che facevamo prima modificando un piccolo particolare: godermelo. Godermi le giornate con te, godermi ogni nostra risata, godermi i nostri film violenti sul divano, godermi la musica rock che ti piace ascoltare, godermi il cibo spazzatura mangiato fino a star male, godermi ogni singolo pancake mangiato insieme. Ti voglio un bene che tu non immagini neanche." gli do un bacio sulla fronte, cominciando a singhiozzare.

Vado verso la porta, guardo un ultima volta papà e infine apro la porta uscendo dalla stanza.

Mi siedo su una delle sedie d'aspetto con la testa tra le mani singhiozzo cercando di mettere fine alle lacrime, ma queste non ne vogliono sapere.

"Bee, ei, Bee, guardami" dice una voce maschile.

Alzo la testa e incontro di nuovo quei maledetti occhiali da sole. E' Paul ha come sempre la felpa con il cappuccio e una tuta. Questa volta non ha la sedia a rotelle.

"Ciao Paul, niente sedia a rotelle?" chiedo.

"Li ho convinti che posso camminare sulle mie gambe, quella cosa mi fa sembrare più malato di quanto non lo sia già" risponde scuotendo la testa.

Ridacchio a quelle sue parole e una risata scappa anche a lui, ma torna subito a guardarmi seriamente, anche se non scorgo benissimo il suo sguardo per via degli occhiali.

"Che succede Bee? Perché piangevi?" chiede dolcemente.

Abbasso la testa come per dire che non voglio parlarne, ma lui non si arrende e mi prende il mento con le dita costringendomi a guardarlo e a parlare.

"Mi manca. Mi manca da impazzire è quasi Natale diamine e io vorrei tanto passarlo con la mia famiglia e lui è tutto ciò che resta di questa, non può.." crollo in un triste pianto senza neanche riuscire a finire la frase.

Paul mi abbraccia, sento il suo calore, il suo profumo e affondo la testa nella sua spalla continuando a piangere senza sosta.

"Bee, ti prego, non piangere." dice staccandosi dall'abbraccio e asciugandomi la lacrime.

Tiro su col naso e asciugo le lacrime rimanenti cercando di non farne fuoriuscire di nuove.

"Ascolta, mi dispiace tantissimo, non posso farti promesse che non so se riuscirò a mantenere, ma ti posso dire che sei una ragazza forte e straordinaria, che ogni giorno si alza dal letto con milioni di effetti collaterali nella sua vita e sono certo che tuo padre e uguale a te forte e combattente e aprirà gli occhi non per rivedere il mondo, ma per rivedere il volto della sua bellissima figlia che ogni giorno sorride anche se non ne ha il coraggio, guardami Bee, sei magnifica" dice lui tenendomi il mento tra le dita.

Ho una sensazione strana dentro di me, come se lui con le sue parole fosse riuscito a colmare un vuoto dentro di me che era rimasto vuoto per anni.

Mi guarda per poi avvicinarsi sempre di più al mio volto e mi bacia, è un bacio romantico e dolce, uno di quelli che non vorresti mai interrompere, uno di quei baci che ricorderai per tutta la vita. Sento una sensazione strana allo stomaco, i brividi in tutto il corpo e le gambe di gelatina.

Passo le mani tra i suoi capelli levandogli il cappuccio, sono ricci, serici e morbidi.

È la sensazione più bella di sempre peccato che viene interrotta.

"Evan Cooper, in sala dobbiamo effettuare un controllo" dice un medico.

Paul s'irrigidisce, non mi bacia più e si stacca totalmente da me. Quando apro gli occhi lo vedo senza cappuccio e gli occhiali devono essergli caduti. È Evan.

Mi guarda con uno sguardo misto tra il senso il colpa e la consapevolezza di ció che è accaduto.

"Bee, scusami" dice impacciato mentre il medico continua a chiamare il suo vero nome.

Rimango lì imbambolata come se dovessi svegliarmi da un sogno durato ormai troppo a lungo e come sempre quando provi a fidati di qualcuno e gli dai un pezzo anche piccolo di te ecco che questo ti pugnala in un modo o nell'altro facendoti sentire la persona più stupida al mondo per esserti fidata e lasciata andare.

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