Capitolo 38

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"Pronto?" rispondo spaventata.

"Bee, sono la mamma di Evan, lui è stato portato in ospedale si è sentito male" dice lei piangendo.

"Sto arrivando" dico immediatamente chiudendo la chiamata.

Non gli rimane molto tempo probabilmente e sta peggiorando e io intendo esserci in ogni momento. E' una promessa. Infilo subito i leggings, una felpa e le scarpe, lego i capelli in una coda disordinata e mi precipito fuori dalla stanza.

Ho il cuore che batte a mille e le mani che mi sudano, scendo di corsa le scale e vado da papà. Lui è seduto sul divano a guardare una partita.

"Papà, Evan è stato portato in ospedale, ti prego mi accompagni" Chiedo piangendo, lui annuisce capendomi e si alza dal divano spegnendo la televisione, prende le chiavi della macchina e usciamo di casa.

Entriamo in macchina con la massima velocità. Guardo fuori dal finestrino, non voglio che papà veda la mia espressione. La luna è alta nel cielo e splende debolmente, le stelle non sono ben visibili, ma si scorgono dei puntini qui e lì. Il cielo è nero, non è blu scuro, sembra davvero nero, è cupo e spento e la luna è l'unico punto di luce. Fa freddo tira un aria gelida che ti fa rabbrividire all'istante e un vento forte sembra volerti spazzare via.

Cerco di restare calma e di respirare profondamente, ma soprattutto cerco di non pensare al peggio. Non si merita questo, lui ha già avuto troppi effetti collaterali nella vita, non si merita di soffrire ancora. E poi io come dovrei fare? Non riesco a pensare a una vita senza di lui. Non riesco ad immaginare di alzarmi la mattina e vivere in mondo in cui lui non c'è, perché se vivi in un mondo senza di lui non ha senso vivere. Il mondo, almeno il mio mondo, è costituito gran parte da lui e se lui non c'è io non ho più una parte di me.

Arriviamo in ospedale e senza neanche aspettare che papà parcheggi mi precipito subito all'esterno, entro correndo e salgo al piano di Evan dove trovo Dave seduto e la mamma di Evan. Appena lui alza il suo sguardo su di me mi si gelano le vene, ha gli occhi contornati dalle occhiaie e sono tutti rossi, completamente rossi e lucidi. Poche volte ho visto Dave piangere in passato, ricordo che ha pianto quando è morta mia madre perché è come se un po' fosse anche sua madre poi quando si faceva male da bambino piangeva, ma crescendo neanche più quello, quando stava male o si faceva male si chiudeva in se stesso e non parlava più con nessuno, e adesso lo vedo piangere. Lui dice che piange solo per le persone a cui tiene, come d'altronde me, ma se mai qualcuno gli chiedesse se lui piange, lui gli risponderebbe di no, perché afferma che è da deboli.

Sinceramente non credo che piangere sia da deboli, credo che sia un modo per sfogarsi, un modo per cacciare via tutti i problemi e sono certa che tenersi tutto dentro poi ad un certo punto porterà ad una sola cosa. Piangere. Perché per tutte quelle volte che non hai versato lacrime le verserai in un unica volta e farà ancora più male.

Si avvicina a me e mi abbraccia, mi stringe forte, questa volta è diversa dalle altre come se non volesse che scappassi, come se avesse paura di perdermi. Ricambio la stretta sentendomi un tantino meglio.

"Cosa è successo?" chiedo titubante.

"Lui ha prima vomitato e poi è svenuto, lo hanno portato qui e ora non lo so" dice con aria cupa.

Ci sediamo uno affianco all'altro e poggio la testa sulla sua spalla, ho sonno tanto sonno. Lui appoggia la sua testa sulla mia e in quell'istante chiudo gli occhi.

Pochi istanti dopo sorge davanti a me un paesaggio che non riesco a distinguere bene, sembrerebbe una scuola, io sono in macchina con un ragazzo di cui non distinguo il volto, guardo la scuola e non voglio scendere dalla macchina, ma lui prende il suo zaino e anche il mio e scendiamo, cominciamo a camminare in direzione del grande edificio mano nella mano e poi attraversiamo le porte della scuola e poi il buio totale.

Apro gli occhi di scatto e vedo Dave affianco a me, mi massaggio la testa cercando di capirci qualcosa. Vedo il dottore uscire dalla stanza e in quel momento tutto mi si fa più chiaro.

Si avvicina a noi e nei suoi occhi c'è del sollievo, credo.

"Ho alcune buone notizie"

Menomale, qualcosa di buono.

"Evan sta bene adesso, però dal punto di vista della malattia è peggiorato ancora di più. Però è vivo. Non so quando, però." il dottore sospira facendoci intendere il resto della frase.

"Possiamo vederlo?" chiedo.

"Volendo si, però lui non sta benissimo quindi potreste restare delusi"

Delusi?

Mi precipito in stanza e Evan mi guarda stranito. Non sembra felice di vedermi.

"Evan, come ti senti?"

"Una merda" biascica a fatica.

"Non posso fare più niente, non posso camminare, non posso andare a scuola, non posso dormire e adesso non posso più neanche parlare decentemente" dice piuttosto arrabbiato.

"Ascolta io capisco, però sei ancora qui con me" dico sorridendogli e cercando di trattenere le lacrime.

"Tu non capisci niente, non puoi capire" dice a denti stretti senza neanche guardarmi.

"Evan io so che è difficile, non capisco quello che stai passando, ma ci sto provando ad esserti vicina in ogni momento e lo continuerò a fare"

"Tra poco ti leverai anche questo fottuto peso"

"Non è un peso, non dirlo neanche per scherzo, per me vederti ogni giorno è un privilegio" dico lasciandogli un bacio sulla guancia.

"Mi dispiace tanto Bridget" sussurra prima che possa uscire.

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