Capitolo 40

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Ho lasciato da poco la sala prove dopo essermi accertata che con gli abiti dei ragazzi fosse tutto sistemato. Manca poco all'Eurovision e tutto deve essere pronto perché tra qualche giorno saremo pronti alla partenza verso Rotterdam e voglio godermi quei giorni in tutto e per tutto. Abbiamo lasciato la sala prove tutti insieme, ma diversamente dall'andata, sono salita nella mia auto da sola, mentre gli altri sono andati via con Damiano. È pomeriggio, ormai, inoltrato e, prima di rientrare a casa, ho fatto un salto nel mio ufficio per assicurarmi che fosse tutto apposto. Manco da un po' e, anche se il mio team lavora costantemente per me, ogni tanto ho bisogno di respirare l'aria del mio ufficio e controllare che anche gli altri artisti per cui lavoro siano seguiti nel migliore dei modi, come se fossi io lì con loro. Quando arrivo sotto casa, come sempre, comincio a frugare nella borsa, ma posso utilizzare una sola mano mentre nell'altra stringo la cartellina con i disegni degli abiti dei Måneskin e altri miei lavori. Mi fermo per un attimo sul marciapiede e, sono così impegnata a cercare le chiavi nella borsa, che mi rendo conto di essere sola, ancora una volta, solo quando per un secondo alzo lo sguardo e mi guardo intorno. Mi concentro per far uscire quanto prima le chiavi dalla borsa, ma la fortuna, oggi, non mi sta accompagnando. Ad un tratto mi immobilizzo, ferma, al centro del marciapiede, perché alle mie spalle sento, nuovamente, un respiro prima lento, poi più profondo, poi ancora lento e poi di nuovo sempre più profondo. L'unica mano libera resta pietrificata nella borsa, mentre con l'altra stringo forte la cartellina. Non riesco a muovermi, come se fossi diventata un pezzo di ghiaccio. Non riesco a muovermi proprio come quando accade nei sogni che vuoi scappare perché il pericolo è alle tue spalle, ma tu resti ferma e immobile nel posto in cui sei perché le tue gambe si sono piantate per terra e non hanno intenzione di muoversi. È così che mi sento in questo momento e non riesco nemmeno più a respirare. Mi si è formato un nodo alla gola perché sento il respiro alle mie spalle diventare sempre più vicino. Poi, senza che me ne renda conto, sento due mani poggiarsi sulle mie spalle e dopo qualche istante mi ritrovo con il petto e la faccia contro il muro, proprio come qualche giorno fa è accaduto in quell'incubo, ma stavolta non è un incubo, è tutto reale. Sento una mano toccare il mio corpo, sfiorare il mio collo, scorrere lungo la schiena, mentre con l'altra mi tiene la testa per evitare che io possa girarmi e vedere di chi si tratta. Stringe la presa, poi risale ancora lungo la schiena, sfiora con le dita i miei capelli, poi ritorna sulle mie spalle e la tracolla della borsa che era poggiata lì, scivola e sento un tonfo quando quest'ultima tocca terra. La cartellina con i disegni al suo interno preme sul mio petto, ma evita che una parte di me sfreghi contro il muro. Il respiro diventa sempre più profondo e la sua mano continua ad esplorare il mio corpo. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, provo a scuotere la testa per liberarmi, ma la sua mano mi costringe a restare ferma. La mia fronte sfrega contro il muro e sento la pelle che comincia a rompersi. Poi, ad un tratto, non sento più le sue mani e nemmeno il suo respiro alle mie spalle. Mi volto di scatto, pensando di trovarlo ancora lì, ma non vedo nessuno. Tiro un sospiro di sollievo perché c'è mancato poco e sarebbe potuto andare oltre. Non riesco a fermare le lacrime e respiro affannosamente per provare a calmarmi. Come poco prima, mi immobilizzo e non riesco a fare nulla. Mi guardo intorno per provare a chiedere aiuto, ma non c'è nessuno. Ancora una volta, la strada di casa mia è deserta e non mi spiego perché sia così solo quando sta per accadermi qualcosa e me ne accorgo solo dopo che questo è accaduto. Mi abbasso e raccolgo la borsa da terra, poi sento la fronte bagnata, oltre alle guance rigate dalle lacrime, mi passo una mano e mi ritrovo delle gocce di sangue sulle dita. Le mani mi tremano come non mai per lo spavento e provo a cercare un tovagliolo per tamponare nella mia borsa. Mi alzo lentamente e tampono il sangue che sembra fermarsi.

Non voglio più restare un secondo in questo posto, non voglio più stare qui e devo andare via prima che possa accadermi ancora una volta qualcosa. Provo a trovare la forza e mi dirigo verso la mia auto, la apro e mi siedo al suo interno. Poggio le mie cose sul sediolino del passeggero e mi guardo allo specchio. I miei occhi sono pieni di lacrime, sulla fronte tanti piccoli tagli da cui fuoriesce ancora qualche goccia di sangue, ma anche sul naso noto un piccolo graffio. Le labbra mi sanguinano per i morsi che mi sono data per la paura, mentre le mie mani continuano a tremare. Le poggio sul volante e stringo forte la presa perché non posso più restare un secondo qui e, nonostante sia un fascio di nervi, poggio i piedi su frizione ed acceleratore per mettere in moto l'auto, anche se le mie gambe non riescono a fermarsi. Sento il motore partire e alzo gli occhi al cielo prima di andare via, poi comincio a sfrecciare per le strade con gli occhi fissi, nonostante la vista sia annebbiata dalle lacrime, ma prima raggiungo la destinazione, prima sarò al sicuro. Lì non lo ero più e chissà se mai lo sarò ancora. Freno di botto quando vedo una macchina spuntare dalla strada perpendicolare alla mia e mi porto una mano sul petto per provare a regolarizzare il respiro, ma è così difficile tenerlo a bada che vorrei smettere di respirare per avere una cosa in meno da tenere in tranquillità. Non so se pensare prima alle mani o alle gambe che tremano, agli occhi che lacrimano o al respiro affannato. So solo che mi rilasso quando arrivo sotto casa di Victoria perché è qui che volevo arrivare ed è per arrivare qui che ho guidato nonostante non fossi al meglio delle mie capacità. Perché è solo qui che, adesso, mi sento al sicuro. Perché è solo qui che, adesso, posso cercare aiuto.

E prometti domani a tutti parlerai di me || Måneskin || Damiano DavidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora