Cap.2 Grace

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JASON

Continuo a stringere tra le mani il maglioncino grigio che la signorina Grace ha dimenticato nel mio ufficio. Un colore alquanto anonimo per una ragazza così carina. D'istinto, lo porto al mio naso, inalando il suo dolce profumo. Chiudo gli occhi e ho come l'impressione di essere stato catapultato in un campo di fiori. Una fragranza decisa e delicata allo stesso tempo.

Ma cosa stai facendo, Jason? Riderebbero di te, se solo ti vedessero!

Ripongo frettolosamente il maglioncino nel primo cassetto della mia scrivania. Passerà sicuramente a ritirarlo, se vorrà. Di certo non sarò io a presentarmi fuori casa sua. Anche se, effettivamente, potrei farlo. Grazie al suo curriculum – che ho studiato nei minimi dettagli –conosco il suo indirizzo di casa. Il mio inconscio mi sta suggerendo di andare lì e scusarmi per i modi usati. La mia testa – quella che ha sempre ragione – si rifiuta categoricamente.

«Si può?»

La sento bussare alla mia porta, impaziente di entrare.

«Vieni pure»

Abbandono i miei pensieri e accolgo Claire.

«Elegante come sempre», continuo, baciandola su entrambe le guance.

Claire sorride, accettando il mio complimento sempre a testa alta. Bionda, chioma ribelle, due metri di gambe che farebbero invidia alle modelle delle passerelle più famose al mondo. Fisico statuario e sorriso smagliante. In contesti diversi, lontani dall'azienda, probabilmente ci saremmo frequentati e chissà, magari avremmo condiviso le nostre vite. Ne sono convinto sin da quando la conosco; è sempre così carina con me. Per sua sfortuna, però, non amo mischiare il lavoro con la vita privata; preferisco che si pensi di me che io sia uno stronzo privo di una vita sentimentale. Che poi, a ben vedere, mi sono sempre tenuto alla larga da queste cose. Non ho mai amato per davvero in vita mia, non ne ho mai sentito il bisogno. Ho sempre preferito concentrarmi sul lavoro, immergendomi completamente in esso. Il lavoro mi rende vivo e soprattutto non mi vincola a nessun altro. Sono io il padrone di me stesso, sono io che decido cosa è meglio o peggio per me. Sono stato educato e cresciuto così. La priorità della mia vita è questa. Molte donne hanno provato ad avvicinarsi a me nel corso degli anni ma ho sempre pensato che fossero interessate al mio conto in banca anziché alla mia persona. E non mi sono mai sbagliato.

«Allora, pranziamo insieme?»

«Claire, sai già cosa penso», ribatto con tono leggermente duro.

«No, voglio solo parlarti di lavoro. Questo ufficio è freddo, lo detesto. Non mi sento a mio agio qui e mi chiedo come tu possa trovarti così bene tra queste mura spoglie», ribatte pronta, guardandosi intorno.

Imito i suoi movimenti, guardandomi intorno a mia volta. A parte la vista mozzafiato sulla città, è abbastanza vuoto. Rispecchia la mia persona. Non che io sia vuoto dentro, semplicemente amo tutto ciò che non è troppo sfarzoso e appariscente.

«Mmm», tentenno, «va bene, andiamo», concludo, assecondandola.

«Lo sapevo!», ridacchia entusiasta, battendo le mani come una bimba.

Afferro il cappotto e fianco al fianco, usciamo dall'azienda.

Chicago è una delle città più fredde in cui abbia mai vissuto. Qui inizia a far freddo già a novembre e le temperature arrivano a toccare anche i -5 gradi in pieno inverno. Oggi è una di quelle giornate in cui il vento non solo è freddo ma si insinua fin sotto alla pelle, provocandoti brividi non indifferenti.

«Dove mi porti?», chiede Claire, curiosa.

«In un ristorantino che ha aperto da poco», le sorrido, «ti piacerà, fidati di me».

Claire non risponde ma continua a sorridere mentre camminiamo per raggiungere il ristorante. Si avvinghia al mio braccio, mantenendo un andamento lento ma deciso. Il calore della sua mano sul mio cappotto attraversa la mia pelle, facendola rabbrividire. Un altro uomo, al mio posto, non ci avrebbe pensato due volte. Se solo lei avesse proiettato tutto questo su un altro, a quest'ora, non elemosinerebbe le mie attenzioni.

Una volta arrivati, le apro la porta, invitandola a entrare per prima. La seguo a passo lento, godendomi la sua espressione sbalordita.

«Wow, è bellissimo!», esclama felice, osservando il ristorante con occhi sognanti.

Sembra quasi una bambina. Sorrido mentre continuo a fissarla.

È uno dei classici luoghi frequentati dai business men. Si può parlare di lavoro in modo tranquillo, i camerieri sono tutti educati e non disturbano eccessivamente il cliente. Pacatezza e riservatezza la fanno da padrone, sembra quasi di trovarmi tra le mura della mia azienda per il clima che si respira.

Porto indietro la sua sedia, facendola accomodare. Subito dopo, mi accomodo a mia volta.

La voce di una cameriera attira subito la nostra attenzione.

«Signore, gradisce dello champagne?»

Alzo lo sguardo e rimango pietrificato davanti a lei. Impallidisco e non riesco a reggere il peso di quello sguardo su di me. Cosa diamine mi sta succedendo? Per qualche secondo credo di aver perso le mie capacità.

Tossisco, schiarendo la voce. Claire nota il mio imbarazzo così decide di rispondere al posto mio. Ottima idea, per una volta ci siamo capiti al volo senza pronunciarci.

«Versi pure, signorina», cinguetta, mantenendo il contatto visivo su di me.

La ragazza fa ciò che le viene 'ordinato'.

«Per me no, grazie», porto una mano davanti al bicchiere, «è un pranzo di lavoro, ho bisogno di rimanere lucido», non so nemmeno io perché lo sto specificando ma lo faccio in modo quasi automatico.

Claire inarca un sopracciglio, incuriosita.

«Sia mai che il signore si sbilanci troppo», la ragazza bisbiglia a bassa voce ma non troppo.

«Scusi?»

La guardo dritto negli occhi e noto in essi uno strano fuoco, come se mi stesse sfidando e non avesse nessun timore nel farlo. Questo è un tipo di sguardo che difficilmente dimentichi. Uno sguardo che possiedono in pochi.

I nostri sguardi restano legati per qualche secondo; mi avvicino maggiormente al suo viso, riducendo drasticamente la distanza tra di noi. Deglutisce e i suoi occhi diventano lucidi come quelli di un gatto. Mi sfida ma allo stesso tempo sembra essere anche lei emozionata da questo contatto ravvicinato.

Cosa ti sta succedendo, Grace? Mi hai messo alla prova e ora?

«Non abbiamo bisogno di altro, può andare», sussurro, strizzandole l'occhio. «Ah, non c'è bisogno di darmi dello stronzo di nuovo. Sto bene così», aggiungo, sorridendo.

Grace sembra essere tornata di colpo in sé; furiosa, mi volta le spalle e va via.

Colpita e affondata.

Torno al pranzo di lavoro con Claire anche se non riesco a levarmi dalla mente lo sguardo di Grace, la forza con cui ha osato sfidarmi ancora, il suo respiro accelerato. La cerco tra la folla ma non la trovo; sembra essersi volatilizzata.

«Scusami, torno subito», dico, poggiando il tovagliolo sul tavolo e allontanandomi.


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