Cap.39 La bella e la bestia

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GRACE

Scendiamo le scale che ci portano a quelli che, teoricamente, sono i magazzini. Magazzini, semi interrati, a dire il vero. Sento una strana ansia percorrermi lo stomaco; non so se sia la troppa vicinanza di Ryan a farmi quest'effetto o la paura di essere "scoperta" da Jason. L'ultima volta non è stato molto clemente con me; mi ha rinchiusa qui sotto. Sbuffo al solo pensiero.

«Sei così preoccupata?», la voce calda di Ryan mi coglie impreparata.

«No, è solo che spero di poter finire presto», mi volto a guardarlo, «non sei costretto a farlo», concludo, fissandolo.

«Voglio farlo. È diverso».

Gli sorrido nel modo più naturale possibile. Non so cosa stia facendo, non so cosa si sia messo in mente ma... ben venga. Quattro occhi e quattro braccia sono sempre meglio di due.

Fortunatamente non siamo gli unici ad animare il semi interrato stamattina; ci sono sia George che gli altri. Appena mi vede, mi sorride, venendomi incontro con le braccia spalancate.

«Baby!», urla felice, «anche tu qui», prende una pausa scrutandomi. «Cazzo, perché sei ancora qui?», questa volta il suo tono è dubbioso.

«Devo ancora finire di catalogare i rossetti rossi. Sai, quella stupida punizione del signor White», borbotto.

«Le sue non sono mai "stupide" punizioni, sappilo. E soprattutto, non farti sentire da nessun altro parlarne in questo modo», mi ammonisce.

Si avvicina maggiormente dopo aver lanciato un'occhiataccia al mio – sfortunato – compagno di viaggio.

«Lui chi sarebbe? Il tizio che scodinzola dietro a Claire?», sussurra cinico, quasi velenoso oserei dire.

«Sssh», bisbiglio, colpendolo amichevolmente sul braccio, «mi ha chiesto lui se potesse aiutarmi».

«Il signor White lo sa?»

«No, mai!», continuo allo stesso modo, con qualche decibel maggiorato nella mia voce, «e non osare dirglielo! Se farai la spia, ritienimi morta!».

«Come ti viene in mente? Non dirlo neanche per scherzo. Sarò muto come una tomba», conclude lui, cucendosi la bocca con un gesto immaginario.

Ryan nel frattempo sembra aver preso confidenza con il posto. O almeno credo.

«Senti, ci vediamo per l'ora di pranzo. Ammesso che il capo non abbia in mente un'altra delle sue punizioni», dico velocemente, volgendo lo sguardo a Ryan.

«Spero che la prossima punizione sia solo a letto», ridacchia divertito.

«Geeeeeeorge!», urlo, «smettila di fantasticare! Io e lui non andiamo a letto!»

Nell'udire quelle parole, Ryan si volta nella mia direzione con uno scatto che è degno di Usain Bolt. Arrossisco. Anzi, avvampo, letteralmente. George e la sua lingua lunga.

«Non pensavo di aver scaturito già così tanto interesse», irrompe nel discorso, avvicinandosi maggiormente.

Il suo sguardo è profondo, deciso. I suoi occhi sembrano quasi che stiano mangiando ogni singolo centimetro – vestito e non – del mio corpo.

«È stato un malinteso, in realtà. Io e George stavamo parlando di altro», mi affretto a dire, consapevole di aver colpito leggermente il suo orgoglio.

«L'idea di te che parli delle nostre possibili prestazioni sessuali a George, non ha sfiorato minimamente la mia mente. Senza offesa, George», mi incalza lui, sicuro.

Cosa diavolo sta dicendo? Io, lui, noi, prestazioni sessuali? Che al solo pensiero di chiamarle così, mi viene il ribrezzo.

«Ti assicuro che non sei al centro del mio mondo, Ryan. A malapena ti conosco», lo ammonisco, infastidita. Questo scambio di battute proprio non mi piace.

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