-Atto IV-

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"When Two Minds Collide."

...

Novembre 2004,

Hermione si richiuse la porta alle spalle e si premette contro il duro materiale di legno. Si sentiva sopraffatta, non stava capendo più niente. Malfoy non era davvero più Malfoy, forse non sarebbe stata davvero una minaccia per la sua pazienza, non l'avrebbe davvero guardata più con quell'acuta superbia. Non le avrebbe più rivolto commenti disprezzanti. Ma era davvero così che sarebbe dovuta andare? Voleva davvero ritrovarsi Malfoy in quelle condizioni?

"Ti ha fatto qualcosa?"

Hermione alzò il capo, si ritrovò i suoi accompagnatori tutti davanti. Scosse il capo e prese un bel respiro.

"No—lui—no," cercò di formulare una frase di senso compiuto. Riordinò la mente e sciolse la lingua. "Non mi ha fatto niente Harry. Dovevo solo mettere in chiaro le cose, ma per quanto parli, non so neanche se mi abbia capito."

"A capire capisce," soggiunse la Guaritrice. "Ma, come ho detto, il disturbo l'ha attaccato gravemente. Ha bisogno di essere spronato. Ritrovarsi in un ambiente diverso lo farà stare meglio di certo."

"Allora sarà meglio procedere subito," il tono di Dawlish era duro. "Non può rimanere in silenzio per sempre."

La Guaritrice capì, sfilò dal camice la bacchetta e fece apparire un fascicolo tra le mani. Si allontanò, trotterellando sui suoi tacchi.

Hermione si staccò finalmente dalla porta, cercò di adottare un atteggiamento professionale. "Sa quello che deve fare?" Chiese.

Ron annuì vagamente. "Gliene abbiamo parlato." Sospirò prima di poggiarsi svogliatamente alla parete e infilare le mani nella tasca dei pantaloni scuri. "Speriamo solo che non sia davvero tutto uno stratagemma, fidarmi di Malfoy, poggiare le nostre speranze sulla sua persona, è l'ultima cosa che avrei mai voluto fare." Una smorfia contrita attraversò il suo volto pallido. Si passò una mano sugli occhi e sui capelli rossi per eliminarla.

Beh...sicuramente nelle condizioni di Malfoy nessuno si sarebbe aspettato un passo falso, ma bisognava sempre rimanere all'allerta. Per Hermione Ron non era nel torto, ma ciò significava che gli occhi erano puntati anche su di lei, anzi, lei ne era responsabile. Doveva tenerlo d'occhio ventiquattro ore su ventiquattro e se si fosse fatta sfuggire anche il minimo movimento, parola o qualsiasi cosa sbagliata fosse passata per la mente di Malfoy, la colpa sarebbe ricaduta inevitabilmente su di lei.

Doveva rimanere salda.

"Weasley," la voce di Williamson riecheggiò nel corridoio, acerba. "Se Malfoy prova solo a pensare di fare qualcosa che comprometta la nostra integrità, se la vedrà con almeno tutto il dipartimento Auror. E ti assicuro che stavolta non verrà risparmiato, andrà a fare una bella visita alla sua famiglia," uno sbilenco sorriso attraversò la sua espressione.

Hermione lo fissò. Williamson se ne fregava dell'integrità della popolazione, era un ottimo Auror doveva ammetterlo, bravo con la bacchetta, bravo con ogni arma magica, un ottimo duellante. Ma Dio, la sua voglia di fare strage superava il desiderio di proteggere i più deboli. Era Auror solo per il gusto di togliersi una soddisfazione personale. Hermione non l'aveva mai visto sul campo, ma in sala d'addestramento sì, e con le reclute sapeva essere particolarmente severo e intransigente. Era capace di usare mosse che per un ragazzino di 19 anni erano davvero troppo precoci.

Hermione aveva molti, troppi dubbi sull'assassino, ma sulla scottatura al collo no. Era troppo accurata per essere una coincidenza. Williamson era di certo lì quella sera, aveva tentato di ucciderla. Di tagliarle la lingua da Sanguemarcio. Hermione deglutì, distolse lo sguardo di scatto. Se fosse davvero stato lì quella sera, allora l'aveva vista, aveva visto che anche lei era stata risparmiata, o almeno, l'aveva intuito. Sospirò pesantemente, era nella sua stessa situazione, non poteva andare a cantare niente neanche lui, era vivo e non l'aveva fermato. Erano sulla stessa dannatissima barca.

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