-Atto XXXII-

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"Si vis pacem, para bellum."

...

Gennaio 2005,

La magia le compenetrò nelle ossa come il più forte dei venti, le defluì nelle vene, e le riempì i polmoni come un secondo ossigeno. La bacchetta che teneva stretta tra le dita non si limitava più ad una semplice asticella in legno di vite, ma ad un filo conduttore che si fuse ai suoi polpastrelli per ricaricarle l'essenza.

Erano passati solo tre giorni dall'assenza di magia, eppure ad Hermione era sembrata un'eternità.

Subito dopo essere usciti dal Ministero, e i blocchi anti-magia erano stati spezzati, Harry li aveva richiamati tutti sul retro della piazza di Whitehall, dove la folla appariva lontana, e i suoi rumori ovattati.

Lentamente i camion militari che erano parcheggiati lì rombarono via uno ad uno, guidati dalle squadre che si mettevano a lavoro. Gli elicotteri svuotarono quello spazio di cielo per raggiungere le zone assegnate, rimanendoli da soli.

Harry a quel punto, rivestendosi dell'autorità di Capo Auror, li aveva fatti mettere tutti in fila, e, mostrandosi ai soldati non come un uomo da poter prendere sottogamba, ma come qualcuno che richiedeva rispetto e attenzione, aveva detto che c'erano delle cose da chiarire prima di partire.

Hermione allora, che s'era imposta un atteggiamento più calmo, meno scosso, si era affiancata a Ginny, che non vedeva da Natale. Le apparse più stanca, sottilmente spenta negli occhi quando le aveva donato un sorriso di saluto, e si chiese se non avesse partecipato anche lei ai pattugliamenti di quei giorni, e se non ne fosse la causa. Non se lo seppe dire, e non le parve il caso di chiederglielo in quella circostanza.

Si era limitata a salutarla anche lei, prima di passare vagamente l'attenzione su quei militari che s'erano disposti dal lato opposto, quasi a voler alzare un ulteriore muro di divisione tra quelle due specie. Se l'era visti in una posizione straordinariamente diversa da quella mattina, e per un attimo le era venuto da ridere.

Probabilmente aveva pensato all'ironia della vita, e a come il Karma, talvolta, si mostrasse in un modo tanto chiaro.

Hermione non ci credeva al Karma, era per lei lo stesso concetto di un Dio che regolava le cose, ma in certi momenti era buffo pensarlo. Quei soldati, che quella mattina avevano riso, e puntato le armi contro quell'uomo, si erano ora ritrovati a stare sotto i suoi comandi. Tremendamente buffo.

Ma Harry, giusto com'era, non ne prese mai vantaggio. Era rimasto educato quando si era presentato, e ancora quando, presentando i suoi, aveva chiarito: "Siamo maghi, ma non siamo diversi da voi. Siamo Auror, e come voi abbiamo il compito di salvaguardare la protezione dei cittadini. Perciò, mi aspetto rispetto e collaborazione da parte vostra. Niente battibecchi, niente sceneggiate come stamattina, e il primo che ha qualcosa da dire se ne può anche andare."

Nessuno aveva avuto da dire nulla, e così il sergente, che si era limitato ad alzare ancora di più il mento, quasi a volergli far toccare quel cielo plumbeo.

Allora Harry aveva continuato, esponendo la sua personale metodica da attuare verso gli scioperanti. Era stato veloce, coinciso, e senza ammissioni di repliche quando disse che nessuna pallottola sarebbe dovuta uscire dalle loro canne se non per sua parola, ai suoi aveva dovuto chiarire, anche se non ce n'era bisogno, che nessun incantesimo sarebbe dovuto partire dalle loro bacchette.

Il suo piano era semplice: stemperare la sommossa con le avvertenze, rimandarli a casa a suon di parole, facendogli capire la rappresaglia a cui sarebbero incorsi se fossero rimasti. Non avrebbero attaccato quelle persone, né avrebbero usato le armi su cittadini che armi non ne avevano.

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