-VII Biglietto-

123 6 6
                                    

"Omnia Cum Tempore."

...

Dicembre 1999,

La volta in cui Astoria mostrò a tutti il suo essere stupefacente, Draco lo ricordava, era Dicembre.

Da dopo il suo isolamento, sempre a quanto stavano i conti di Blaise, passò un mese esatto. La pietra di Azkaban assorbì il freddo peggio dei primi giorni, e glielo gettò addosso a colpi di quella neve sdrucciolante, e a soffi di respiro di Dissennatori per compenetrargli nelle ossa sempre più sporgenti, e renderli ancora più deboli e fiacchi.

Nè Shacklebolt, né Blair si fecero più vivi, e in quel mese l'unico che andò una volta, fu Buckland. Andò, li soppesò uno ad uno, e poi uscì come una spia che cattura le informazioni, e le riporta a chi di dovere.

Per loro, con i giorni che passavano, diventava sempre più difficile immaginarsi una vita esterna pullulante. L'idea che qualcosa fuori di lì si muovesse, nonostante la loro segregazione, il loro stallo, era angosciante. E allora tutto si ridimensionava a grate e pietra, tutto il mondo si dipingeva di quel grigiore che li circondava, e di quel bianco e quel nero che li vestiva.

Nessuno aveva la magia, perché loro non l'avevano. Tutti si ribattezzavano con numeri, perché era così che loro venivano chiamati. E tutti smagrivano, si decomponevano delle loro parti, per incrostarsi al sangue e alla violenza che ogni giorno gli veniva imposta, perché era così che loro venivano trattati.

Non esisteva nulla fuori da Azkaban, tutto il mondo era grate e pietra nelle loro menti, e così doveva rimanere.

Col tempo che passava cambiarono tante cose. Il loro modo di attestarsi, il loro modo di muoversi per quei corridoi, il loro modo di fare casa quella prigione per crearsi un habitat, e sopravvivere. Ognuno si era creato il suo piccolo angolo nella cella, e aveva fatto sua anche quella.

Draco, ad esempio, da dopo la rissa aveva scoperto un nuovo modo per smaltire l'angoscia, la rabbia, e tutte le emozioni attanaglianti che gli portavano quelle giornate. Se i pensieri si facevano troppi, si alzava dall'asse, prendeva i fazzoletti che si conservava, e se li legava attorno alle nocche per piazzarsi davanti alla muratura.

Uno. Due. Tre pugni. Si fermava, prendeva fiato, e poi ricominciava per un massimo di mezz'ora. Quando terminava, e si rimetteva affannoso sull'asse, faceva male. I fazzoletti a poco servivano, e la pelle delle nocche gli si sbrindellava come fogli di papiro nel fuoco. Però, nel momento in cui tirava, nel momento in cui imperversava la sua rabbia, non sentiva nulla, e per quella mezz'oretta stava bene.

C'era qualcosa di tremendamente confortante nel rimbombante fluttuare dell'adrenalina. Tutto gli scoppiava dentro in un fuoco che sfocava, e inceneriva tutto. Niente esisteva, la sua testa non macchinava, e tutto ciò che sentiva erano i colpi secchi e muti che mandava alla pietra solida, il suo respiro ansante, l'acqua del mare del Nord che ricopriva la prigione e che spruzzava dallo sbocco, e le manette che, con i movimenti, si restringevano ai polsi e tintinnavano.

C'era qualcosa che si ravvivava in quel cumulo di demoralizzazione che ogni giorno di più si appropriava del suo corpo, e anche quando si stendeva, e si toglieva il materiale assorbente pieno di quel liquido scarlatto luccicante, sentiva che c'era, che esisteva, e che era una persona con della carne viva capace di stridere, e sanguinare ancora. Questo, lo consolava.

Era capace di sentire dolore, e se sentiva dolore era vivo, e se era vivo poteva ancora uscire di lì.

Quando si guardava le nocche aperte, e sempre più gonfie, aveva l'impressione di star diventando anche lui parte della calce di quel posto. Il lividore che le componeva, mischiato alle croste secche dei colpi vecchi, e poi al sangue fresco di quelli nuovi, creava uno strano contrasto rosso-violaceo sulla sua pelle chiara che la rendeva quasi di ferro.

Revelio | DramioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora