-Atto XXII-

351 15 62
                                    

"Tempus Fugit."
...

Gennaio 2005,

Le bambine di otto anni nella scuola elementare di Hermione adoravano sventolare i bigliettini d'amore effimeri che ricevevano, adoravano ostentare i loro amori infantili come se fossero durati anni, non cacciavano neanche una lacrima quando, dai loro visetti smorfiosi, per litigi bambineschi, puntavano il dito contro il loro fidanzatino e starnazzavano: "Non siamo più fidanzati!"

Allora i bambini le guardavano, cercavano consenso nei loro amichetti attorno e, facendo spallucce, replicavano con menefreghismo assoluto un: "Va bene."

Lei era quella bambina posta tra il banchetto in prima fila accanto alla finestra, era quella bambina che veniva chiamata solo per passare quei bigliettini alla ragazzetta davanti, era quella bambina che osservava quei litigi con aria perplessa e un po' divertita dal suo banchetto.

Hermione era quel tipo di bambina che tutti odiano, quella che va a scuola per il gusto di imparare, quella che alza la mano ed è la cocca della maestra. I suoi unici amici erano Oscar Wilde, Charlotte Brontë e Agatha Christie, i suoi unici amori venivano stampati in serie, e i soli con cui voleva parlare erano in quelle pagine.

La sua vita infantile si sarebbe potuta benissimo ridurre ad una lucina sul comodino al chiaro di luna, all'abbonamento di prestito che aveva fatto alla biblioteca Chetam's, e ai dorsi dei libri che erano come corpi viventi per lei. E allora la sua stanzetta si animava di tante voci, e le mura diventavano mille mondi diversi.

Ma benché fosse già troppo razionale alla sua tenera età, benché si chiedesse spesso come l'amore poteva essere ridotto a caselle con sì e no da incrociare, Hermione era una bambina anche lei, e sognava un sentimento forte come quelli che leggeva.

Pareva l'avesse trovato in Thomas Montgomery, la sua prima cotta. Dovevano essere stati i suoi riccioli castani, la sua cortese gentilezza, o forse i semplici e gli unici "ciao" che riceveva ogni mattina solo da lui. Non ricordava di che colore fossero i suoi occhi, ma le erano rimasti impressi la luce sincera che li avvolgeva e il fatto che fossero i soli, tra tutti quelli degli altri bambini, a posarsi su di lei con cordialità. Erano bellissimi.

Non parlavano molto, lui le scambiava solo quel "ciao", e lei non riusciva mai a rispondere, arrossiva e girava il capo dall'altro lato. Le piaceva guardarlo dal suo banchetto solitario, le piaceva quando rideva con i suoi amichetti e le lentiggini sul suo nasino si arricciavano, le piaceva quando, dopo una sgridata dalla maestra, si grattava i riccioli disordinati impacciatamente.

Non sapeva neanche se sapesse il suo nome, ma lei sapeva che si faceva chiamare Tommy, sapeva che era bravo alle partite di calcetto ma pessimo in matematica. Quando nei compiti non sapeva fare qualcosa lei, senza farsi vedere, faceva scivolare con falsa distrazione il foglio con le risposte nel suo lato, quando andava alla lavagna era la sua voce che bisbigliava suggerimenti.

Sapeva che non si sarebbe mai curato di lei, perché lei era quella diversa, quella un po' strana e taciturna, con i nidi in testa e la pelle troppo scura. Lei non piaceva a nessuno, con i suoi libri e la sua saccenza innaturale. Ma le bastava, le bastava quel "ciao" e quel sorriso ogni mattina, le bastava perché le faceva capire che forse i suoi genitori non erano gli unici a vederla, le bastava perché se lui la salutava, allora forse non era tanto strana e diversa.

E la verità era che voleva solo ricambiare tanta gentilezza, e l'unico modo che conosceva erano le risposte nascoste su un pezzo di carta e i sussurri d'aiuto. L'unico e immenso gesto d'affetto che conosceva era solo quello di guardarlo dal suo angolino.

Un giorno, all'ora di pranzo, si sedette accanto a lei in cortile. Nessuno si sedeva con lei, ma lui lo fece. La guardò, tirò quelle labbra piccole e sottili e le donò il sorriso caloroso che lei aspettava ogni mattina. Le donò quel ciao, e lei fece solita scena muta. Abbassò il capo e se ne stette a fissare le carote arancioni ben tagliate dalla madre, e le uova strapazzate. Pungolò tutto distrattamente con la forchetta mentre faceva oscillare imbarazzata le gambine.

Revelio | DramioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora