-Atto XIII-

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"Ehi Granger, can you feel my soul now?"

...

Novembre 2004,

Hermione iniziò a contare i giorni che passavano dall'accaduto come un'ossessa. Percepiva il senso di impazienza che le opprimeva la bocca dello stomaco, percepiva la preoccupazione di essersi assentata per troppi giorni dal Ministero. Iniziò a girare avanti e indietro per le piccole mura di casa sua con l'agitazione di voler sapere se qualcuno avesse capito, ma aveva la consapevolezza di dover rimanere lì con Malfoy.

1, 2, 3 giorni erano passati. Malfoy era sprofondato in un sonno che sembrava un coma, Hermione si sentì davvero persa. Gli aveva somministrato 3 dosi di Ossofast, aggiustato il braccio con un asta di ferro, gli aveva cambiato la garza altrettante volte. Eppure...eppure era da quando era svenuto che non prendeva conoscenza.

Aveva consultato qualsiasi libro di guarigione avesse trovato in casa, seguito tutti i consigli utili, aveva ripassato mentalmente tutte le pozioni che la sua mente aveva assimilato durante gli anni ad Hogwarts. In quel momento, più che mai, sentii che tutte quelle ore passate sui libri, tutti quegli attimi sperperati a scribacchiare, a giocare col tempo, non erano serviti a nulla.

Era sola, non poteva chiedere aiuto a nessuno, una sola mossa falsa e si sarebbe data fuoco da sola. Non avrei mai dovuto farlo. Ormai quelle parole divennero una voragine da cui non riusciva ad uscire. La sua razionalità era stata sconfitta dalla curiosità, e ora gliela stava facendo pagare, si stava riversando sulla sua coscienza.

E la cosa più divertente, continuava a ripetersi, era che era Malfoy, era per Malfoy. Ma che fosse Malfoy o meno, che fosse stato un bulletto spocchioso o meno, che fosse stato un Mangiamorte o meno, che fosse stato un prigioniero o meno, lui l'aveva protetta. Si era messo al suo posto, non riusciva a darsi una spiegazione per quell'atto così incongruente e impulsivo.

Passava la maggior parte delle ore nella sua stanza, aveva messo Malfoy sul suo letto. E allora, quando lo vedeva, il cuore le si restringeva ancora di più. Si sentiva colpevole, era stata sconsiderata, avrebbe dovuto ascoltarlo, non muoversi così velocemente. Lei era sempre accorta, e quella volta, quella volta non lo era stata.

Si sentiva in ogni caso degente quanto lui, la testa le diventò pesante, un ingombro di carne e sangue che si incespicava in un labirinto senza fine. Aveva ciò che voleva, gli Archivi era riusciti a prenderli, eppure non li aprì neanche una volta. Si ritrovò a passare il tempo con delle letture che a stento leggeva davvero, si ritrovò a seguire l'esterno tramite i giornali.

Il Parlamento si stava lentamente ristabilendo, sebbene le fondamenta dell'edificio erano ormai andate per sempre distrutte. Ron ebbe ragione, l'assassino si era preso effettivamente una pausa dall'ultimo colpo, niente omicidi, nessun uomo fatto a pezzi. Ma nessuno chiese di lei, nessuna lettera, nessun richiamo.

Erano passati tre giorni, ma a lei parvero di più.

Ma vi era un frammento nelle ore dei giorni, piccoli attimi di dissestamento, che le facevano salire il batticuore. Di notte, capitava sempre di notte fonda. Quando i suoni erano calmi, quando il cielo veniva mangiato dalla luna e Londra pareva un piccolo mondo a sé, fatto di silenzio e inesistenza umana.

In quegli attimi si accorgeva che Malfoy non era andato in coma. I nervi si drizzavano, le labbra si muovevano, e allora entrava in uno stato di dormiveglia che lo faceva sobbalzare, lo faceva contorcere e rantolare. Le sue corde vocali vibravano e si metteva a dire cose sotto alla lingua che lei non riusciva a collocare.

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